Su questa pagina, che aggiornerò periodicamente, troverete materiali e appunti relativi al Laboratorio Mestre– Primo ciclo – che è iniziato a ottobre. Le registrazioni degli incontri saranno via via disponibili alla pagina AUDIO I partecipanti possono condividere qui domande, commenti e riflessioni sui temi del laboratorio (clicca in alto a destra di questo articolo per lasciare un Commento)

Achaan Chah e Achaan Sumedho
Nei primi otto incontri esploreremo temi centrali della pratica meditativa attraverso gli insegnamenti e le biografie di figure rappresentative della tradizione tailandese ‘della foresta’, un movimento contemplativo che ha avuto un ruolo importante nella trasmissione di valori e pratiche buddhiste in occidente nella seconda metà del novecento. Vedremo se e in che modo l’esperienza di monaci itineranti del sud-est asiatico rurale possa parlare alla nostra condizione di laici inseriti in una società complessa e globalizzata.
Per accostarsi al tema:
Introduzione alla vita e agli insegnamenti di Achaan Chah
Il Buddha arriva in Sussex: (in inglese con sottotitoli)
La stessa storia, con molti spunti di riflessione e di pratica, è raccontata in: Achaan Sumedho, Lasciar andare il fuoco, Astrolabio, Roma 1992.
1a) Il villaggio e la foresta – appunti

Pindapat
2) Tudong: in cammino – appunti
3) Ascoltare e apprendere dalla natura e dall’ambiente – appunti

Achaan Chah e un cerbiatto
4) Buddho – appunti
5) Solitudine e cooperazione – appunti
6) La battaglia interiore e la pace affidabile –appunti

Achaan Lee Dhammadaro
7) Lasciar andare appunti
Durante l’ultima meditazione ho sentito il villaggio dentro di me, in una sorta di piccolo vortice dentro lo stomaco che risucchiava la mia attenzione e mi spingeva compulsivamente ad agire, a fare.E in quel momento ho sentito forte l’identificazione del fARE, carico di ansia, aspettative e fretta, come un elemento acquisito , un elemento esterno da me, ma diventato struttuturale , come il villaggio dentro di me:l’insieme di quegli stimoli sociali e relazionali e le mie risposte ansiose e compulsive, e l’ESSERE semplicemente, senza fretta, lo stare seduta, sentendo la solidita’ della posizione , nonostante quel vortice tentasse di risucchiarmi, come la foresta, la piccola foresta dentro me. E ho capito che esattamente come l’assenza dei monaci dal villaggio e il loro estraniarsi nella foresta aveva un impatto forte e nutriente sul villaggio, molto piu’ che se avessero agito dall’interno, il mio stare seduta , con la liberta’ di non agire, inevitabilmente cambia le dinamiche del villaggio dentro me, in senso positivo . E il FARE diventa una scelta piu’ libera, una espansione dell’essere piu’ pulita. meno inquinata da elementi esterni acquisiti e introiettati da tempo.
Lo stare fermi quando la tempesta infuria placa la tempesta e rischiara la visione.Grazie Letizia , anche da lontano il tuo insegnamento e’ potente, la tua parola feconda…
Sento il senso profondo delle tue parole vibrare positivamente dentro me.E’proprio il “senso” che cercavo…e il Tuo esempio e ‘incoraggiamento sono fondamentali…
Mi viene in mente una parola che racchiude, nel suo senso nobile, il significato delle Tue parole:humanitas e il verso meraviglioso di Terennzio :homo sum, nihil humani a me alienum puto.
Il villaggio e’ la mia identita’ e la mia prigione, la foresta la mia liberta’ e la mia paura di perdere l’identita’. Ma l’identita’ costruita attraverso l’identificazione con un gruppo non e’ vera identita’ e la pace della foresta nasce proprio dal liberarsi delle sovrastrutture di una identita’ “comune”. Ma pur nella consapevolezza di cio’ c’e’ un conflitto quotidiano in cui e’ la dipendenza dal villaggio a prevalere sulla bisogno di liberarmi nella foresta…
Il conflitto è un buon posto da cui partire, secondo me, e ci riguarda in molti. La consapevolezza e la compassione che sviluppiamo in meditazione è un potente strumento per rilassare giudizi negativi e reazioni, e per abbracciare sentimenti e desideri contrastanti in un unico campo di osservazione per quanto possibile gentile e imparziale. In questo modo, non ‘diventiamo’ il conflitto, ma possiamo viverlo in modo riflessivo, osservando attentamente ogni specifico momento di ‘prigionia’ o ‘libertà’ senza cadere in generalizzazioni. L’appartenenza a più di un gruppo è parte integrante della nostra identità e umanità, e l’insegnamento del Buddha non si propone di distruggere l’identità o negare la relazione e il legame. Ci invita però a scegliere attentamente con quali valori, esempi, influenze e obiettivi associarci (internamente ed esternamente) e da quali invece imparare a dissociarci. Personalmente lo vedo soprattutto nella sfera emotiva e del comportamento: molte reazioni, pensieri e abitudini sono dettati dalla pressione sociale, o da schemi familiari ereditati: se non sono sani e non promuovono libertà e dignità, posso imparare a lasciarli andare, a prendere le distanze, a essere sola? Abbiamo l’incoraggiamento e l’esempio di chi percorre il sentiero con successo. Ma a differenza dei gruppi non riflessivi (inclusi quelli buddhisti) l’ideale sangha del Buddha incoraggia ciascuno a crescere e maturare con le proprie forze e con la propria intelligenza. Per me, uscire da villaggio è anche abbracciare un comune senso di umanità fondato sull’esperienza: nascita, malattia, vecchiaia, morte, separazione, sofferenze e desideri che mi fanno riconoscere nell’altro a prescindere dalle mie identità culturali e dalle mie appartenenze.