L’accento è sulla coltivazione della presenza mentale nell’arco della giornata e su come si rafforza e raffina nel processo che porta la mente/cuore alla quiete della meditazione profonda.
“In tal modo, da una qualità nasce l’altra, una qualità perfeziona l’altra, al fine di passare da questa all’altra sponda” Anguttara Nikaya 11.2
Vedremo come la “concentrazione appropriata” (sammā samādhi) insegnata dal Buddha sia parte di una dinamica circolare che impegna diversi fattori dell’ottuplice sentiero: in particolare le intenzioni appropriate (temperanza, gentilezza, compassione) lo sforzo appropriato e la presenza mentale che si associa a una corretta prospettiva. I fattori etici del sentiero (il modo di esprimersi, di interagire e di lavorare) si innestano in questa dinamica preparando il terreno e gettando i semi che fioriranno nella meditazione formale. Le esperienze difficili o appaganti della seduta o di un ritiro diventano a loro v0lta segni e specchio degli schemi emotivi, dei valori e delle tendenze – più o meno sani e costruttivi – che guidano inconsciamente la nostra vita, incoraggiandoci a prendercene cura.
Quel che segue è una versione italiana (con qualche abbreviazione per facilitarne la lettura) del Paṃsudhovaka Sutta (Aṅguttara Nikāya 3.101) un discorso dove il Buddha illustra il processo della meditazione (adhicitta – lett.: la mente/coscienza superiore, o evoluta) paragonandolo al lavoro che è necessario compiere per estrarre e raffinare l’oro, liberandolo dai materiali ai quali si trova mescolato in natura. Come spesso accade nelle similitudini del Buddha tratte dal mondo dei mestieri, il realismo dei dettagli tecnici è funzionale alla comunicazione di un saper fare basato sull’esperienza.
Quindi mi è sembrato utile se non indispensabile affiancare al testo immagini che diano un’idea degli attrezzi e dei gesti di cui si parla e del contesto generale del lavoro (ai tempi del Buddha non esisteva Youtube, quindi ci accontentiamo di approssimazioni contemporanee). L’immaginazione, unita alla conoscenza diretta della vostra mente e all’esperienza della meditazione intensiva, farà il resto! Una cosa però sarà chiara a tutti: non è un lavoretto facile e ‘pulito’, richiede tanto applicazione, perseveranza, ripetizione, tempo, quanto sapienza e conoscenza della ‘materia’. Richiede le mani in pasta ed economia di movimenti, non il distacco del sapere in teoria o uno sperpero inconsulto di energie.
NEL VIDEO QUI SOTTO LA PARTE INTERESSANTE SUL LAVAGGIO COMINCIA AL MINUTO 7.27- spostate il cursore in avanti se non volete vederlo tutto!
Chiunque abbia provato a lasciar decantare i propri pensieri, a staccarsi da un ragionamento a vuoto, una fantasia allettante, un rancore, una preoccupazione, a sottrarsi al sottile dominio di un buon sentimento o all’ansia di ‘praticare’ e di ‘vedere’, sa di che cosa parlo. E chi pensa che samatha abbia a che fare con la ‘calma’ dia un’occhiata al documentario qui sotto: come produrre oro a 24K! Scherzi a parte, l’intensa attività e l’alta temperatura della fucina (l’oro fonde a 1064 gradi!) rendono bene il lavoro psichico non visibile (ma a volte avvertibile), lo stato fluido o caotico del sistema in trasformazione e l’energia sprigionata dal processo.
Due sono le figure implicate nella similitudine: il lavatore o setacciatore (paṃsudhovaka – da pamsu = terriccio, fango, sporcizia) che dà il nome al Discorso; e l’orafo, che subentra una volta che dal processo di filtraggio emerge l’oro grezzo. Nel primo stadio, preliminare, la purificazione mentale è associata all’immagine dell’acqua e del lavare; nel secondo al fuoco e al fondere, che modificano strutturalmente la materia prima. Infine, la mente “duttile, malleabile e splendente” è pronta al lavoro di investigazione che logora i legami e i condizionamenti profondi. Tipicamente, il sutta si conclude ‘in gloria’ con la liberazione dell’arhat, oltre a elencare benefici collaterali del perfezionamento di samatha.
Uno schema analogo del progressivo abbandono dei pensieri distraenti, culminante nella quiete energica e luminosa della mente unificata si trova nel famoso Discorso sui due tipi di pensiero (tradotto su questo blog) che include il passaggio standard sui quattro jhāna. La metafora della raffinazione dell’oro tramite fusione e separazione dai metalli ‘vili’ si ritrova anche in un altro discorso: AṅguttaraNikāya5.23 Upakkilesasutta Qui è esplicito il riferimento ai ‘cinque impedimenti’, qualità o schemi energetici e psicologici che ostruiscono la consapevolezza, offuscano il discernimento e vanno abbandonate insieme alla stimolazione sensoriale perché la mente possa accedere alla meditazione profonda. Potete leggere questa e altre similitudini per i cinque impedimenti cliccando QUI
Ci sono tre impurità grossolane dell’oro: sabbia sporca, pietrisco e ghiaia. Il setacciatore o il suo apprendista lo mette in un bacile e le lava via sciacquando e risciacquando. Una volta eliminate quelle, restano le impurità mediane: ghiaino e sabbia grossa. Il setacciatore le lava via sciaquando e risciaquando. Una volta eliminate quelle, restano le impurità sottili: sabbia fine e polveri nere. Il setacciatore le lava via sciacquando e risciaquando. Una volta fatto questo, resta solo la polvere d’oro. Allora l’orafo, o il suo apprendista, mette l’oro grezzo nel crogiolo e soffiando lo fonde eliminando le scorie. Finché non è stato fuso e separato dalle impurità, finché non è raffinato e privo di scorie, l’oro non è duttile, malleabile o splendente. E’ friabile e non si presta a essere lavorato. Ma arriva il momento in cui l’orafo ha fatto quel che doveva fare per liberarlo dalle impurità e l’oro – raffinato e privo di scorie – è duttile, malleabile e splendente. Non è friabile, e si presta a essere lavorato. Allora, qualunque ornamento l’orafo abbia in mente – una cintura, una collana, un paio di orecchini – l’oro servirà al suo scopo.
Allo stesso modo ci sono tre impurità grossolane del monaco che si dedica alla meditazione: azioni scorrette, parole scorrette, modi di pensare scorretti. Il monaco coscienzioso e intelligente se ne astiene e fa in modo di eliminarle. Una volta abbandonate queste, restano le impurità mediane: pensieri sensuali, pensieri ostili, pensieri violenti. Il monaco coscienzioso e intelligente se ne astiene e fa in modo di eliminarli. Una volta abbandonati questi, restano pensieri sulla famiglia, la patria, la reputazione. Il monaco se ne astiene e fa in modo di eliminarli.
Una volta abbandonati questi, restano solo pensieri connessi alla pratica. La sua concentrazione non è calma o raffinata, non ha raggiunto il perfetto riposo o la convergenza ed è tenuta insieme da un deliberato sforzo di volontà. Ma arriva il momento in cui la mente si stabilizza, si raccoglie e si unifica. La concentrazione è calma e raffinata, raggiunge il perfetto riposo e la convergenza e non è più tenuta insieme da uno sforzo di volontà. Allora, qualunque forma di conoscenza speciale desideri ottenere, potrà farne esperienza quando c’è l’occasione.
[Segue il passo standard sulle 6 abhiññā o “conoscenze speciali” che possono essere ottenute, per quanto non da tutti i praticanti, come esito del perfezionamento della meditazione di quiete(jhāna): poteri psichici; chiaroveggenza; comprensione della mente degli altri; ricordo delle vite precedenti; comprensione del kamma degli esseri; conoscenza dell’esaurimento delle fermentazioni (āsava) o liberazione]
Se vuole, esaurite le fermentazioni mentali, dimora in quella liberazione del cuore e liberazione data dal discernimento che è priva di fermentazioni, avendola conosciuta e realizzata nel presente. E ne può fare esperienza ogniqualvolta c’è l’occasione.
Una versione dell’intero sutta, in inglese, si può leggere QUI
Da quella pagina (cliccando sul menù in alto a sinistra) si può accedere al testo pāḷi e ad altre letture sull’argomento. Un saggio particolarmente dettagliato su questo Discorso è quello di Piya Tan
Nella sezione AUDIO di questo blog troverete un mio discorso tenuto durante un recente ritiro a Tossignano (Le cinque facoltà) e intitolato Purificare l’Oro.
Questo intervento del Ven. Bhikkhu Bodhi, a cui siamo tutti debitori per aver dischiuso in una lingua occidentale il tesoro dei Discorsi del Buddha, parla non solo agli Americani che si confrontano con un difficile momento della loro storia politica e sociale, ma a tutti noi che amiamo e pratichiamo il Dhamma e ci sforziamo di capire come coniugare il sentiero della pace del cuore con la partecipazione sensibile e intelligente al turbolento spazio della polis – dove apprendiamo l’inevitabile connessione della nostra vita a quella degli altri, e impariamo che le scelte, i valori, i pensieri e le emozioni agiscono ben al di là dei limiti di questa pelle, di questa ‘testa’, di questo paese. Non ho il tempo di tradurlo, ma se qualcuno vuole provarci (anche in parte) posti come commento a questo articolo. Se cliccate in alto a destra su Commenti leggerete intanto un piccolo stralcio in italiano
It was with feelings of shock and dismay that early this morning I woke up to learn that Donald Trump had been elected president of the United States. Although, as a monk, I do not endorse political candidates or align myself with political parties, I feel that as a human being inhabiting this fragile planet, I have an obligation to stand up for policies that promote economic and social justice, respect for the innate dignity of all human beings, and preservation of the earth’s delicate biosphere. By the same token, I must oppose policies detrimental to these ideals. I see politics, not merely as a naked contest for power and domination, but as a stage where great ethical contests are being waged, contests that determine the destiny—for good or for ill—of everyone in this country and on this planet.
Trump’s presidential campaign challenged each of the ethical…