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Traduco di seguito la prima parte del Suppabuddhakuṭṭhi Sutta (Udāna 5.3). Il brano dà esempio di uno stile di insegnamento del Buddha noto come “esposizione graduale” o “passo per passo” (ānupubbīkathā), la cui formula standard è incorniciata dalla storia commovente del protagonista Suppabuddha. Acquisire lo “sguardo del Dhamma” che coglie l’impermanenza e le sue implicazioni liberanti è un sinonimo di “entrata nella corrente”, il primo grado del risveglio, l’accesso al nobile ottuplice sentiero. Il paragrafo conclusivo è una pericope che spesso descrive il sotapanna e lo spostamento subitaneo di prospettiva provocato da un discorso del Buddha. Un buon commento moderno all’insegnamento graduale e alla logica che connette i vari passi della pratica lo trovate nel libretto di Achaan Sucitto, Kalyana, edito da Astrolabio.

Mi sono presa qualche piccola libertà con il testo per renderlo scorrevole e di immediata comprensione ma senza alterare o omettere nulla (p. es. rendo con “pane e companatico” un’espressione pali che designa cibi duri e soffici, oppure  gli alimenti base – immagino riso o simili  – e le pietanze, salse ecc. “Pane e minestra” , evocativo di una mensa dei poveri, sarebbe stato un altro modo per rendere bene l’equivoco dello speranzoso Supabuddha). Una versione inglese dell’intero testo, con link all’originale pali si può leggere QUI  

Ho udito che in una certa occasione il Beato dimorava presso Rājagaha nel Boschetto di Bambù, al Rifugio degli scoiattoli. A quel tempo viveva a Rājagaha un lebbroso di nome Suppabuddha, un pover’uomo che mendicava per vivere. Un giorno, il Beato stava insegnando il Dhamma circondato da un gran numero di persone.

Suppabuddha il lebbroso vide da lontano quella folla e pensò: “Senza dubbio qualcuno distribuisce pane e companatico laggiù. Magari mi unisco anch’io a quella folla, così rimedio qualcosa da mangiare”. Dunque si avvicinò, e vide il Beato che insegnava il Dhamma in mezzo a una grande assemblea. Vedendo questo pensò: “No, nessuno distribuisce pane e companatico qui. Quello è Gotama il contemplativo che insegna alla gente. E se ascoltassi il suo insegnamento?”. Perciò si mise seduto in un angolo pensando: “Anch’io voglio ascoltare il Dhamma”.

Allora il Beato, avendo abbracciato con la propria mente la mente dell’intera assemblea, si chiese: “Adesso, qui, chi è capace di comprendere il Dhamma?”. Vide Suppabuddha il lebbroso seduto in mezzo agli altri e nel vederlo pensò: “Questa persona è capace di comprendere il Dhamma”. Così, pensando a Suppabuddha il lebbroso, fece un’esposizione graduale, cioè un discorso sulla generosità, sulla virtù, sui mondi celesti, spiegò gli inconvenienti, la pochezza e la corruzione dei piaceri dei sensi e il vantaggio della rinuncia.

Poi, quando vide che la mente di Suppabuddha il lebbroso era pronta, duttile, sgombra, ispirata e pura, espose l’insegnamento caratteristico dei risvegliati, cioè: la sofferenza, l’origine, la cessazione e il sentiero. E come una stoffa pulita e senza macchie assorbe il colore, allo stesso modo a Suppabuddha il lebbroso,  seduta stante, si dischiuse lo sguardo del Dhamma, chiaro e limpido: “Tutto ciò che sorge, cessa”.

Avendo visto il Dhamma, raggiunto il Dhamma, conosciuto il Dhamma, preso possesso del Dhamma, essendo andato oltre il dubbio superando la perplessità e divenuto intrepido e autonomo per quel che concerne il messaggio del maestro, Suppabuddha si alzò dal suo posto e si accostò al Beato. Dopo averlo salutato rispettosamente si sedette da un canto e stando seduto lì gli si rivolse dicendo: “Splendido, signore! Splendido! Come se avesse raddrizzato una cosa capovolta, rivelato un nascondiglio, mostrato la via a chi si è perso, portato una lampada nel buio perché chi ha occhi per vedere veda – allo stesso modo il Beato, con diversi argomenti, mi ha chiarito il Dhamma. Prendo rifugio nel Beato, nell’insegnamento e nella comunità dei monaci. Che il Beato mi ricordi come un discepolo laico che da questo momento ha preso rifugio in lui finché avrà vita”.