
Yaksha Manibhadra (III-II sec. a.C.) Mathura
Fra le classi di esseri non umani potenzialmente interessati all’insegnamento del Buddha figurano gli yakkha (scr. yakṣa), spiriti potenti che abitano luoghi solitari, foreste, colline e grotte abbandonate in prossimità di villaggi e città. Vengono placati e propiziati con offerte e preghiere e l’erezione di altari e santuari; sovente, la naturale irruenza del carattere si trasforma in benigna forza protettrice per gli umani. La controparte femminile (yakkhinī) è al tempo stesso una feroce divoratrice di bambini e un nume tutelare della fertilità e dell’infanzia (cfr. Gail Hinich Sutherland, Disguises of the Demon: The Development of the Yaksa in Hinduism and Buddhism, 1991; e un interessante articolo di Bhante Sujato sugli echi del culto dell’albero e del sacrificio umano nei testi del buddhismo originario, disponibile qui )
Nei Discorsi antichi si menzionano diversi yakkha con un nome proprio e una residenza; nella letteratura più tarda sono i protagonisti o i comprimari di racconti a sfondo edificante (cfr G P Malalasekera, Dictionary of Pāli Proper Names ) Nel tempo l’iconografia dello yakkha confluisce nella figura del ‘protettore del Dharma’ posto a guardia dei templi e dei testi buddhisti.
Nel Saṃyutta Nikāya del canone pāli un intero capitolo – il decimo della prima sezione – contiene conversazioni o episodi riguardanti yakkha, feroci o benevoli, che si rapportano al Buddha o ai suoi discepoli, fornendo lo spunto per insegnamenti di carattere etico e per la celebrazione del potere del Dhamma di trasformare le energie della paura e dell’aggressività con la fede, la gentilezza e la saggezza.
Traduco di seguito l’Aḷavakasutta Saṃyutta Nikāya 10.12 e il Maṇibhaddasutta Saṃyutta Nikāya 10.4 A questi link si possono consultare anche altre versioni, in cinese e pāli, degli stessi testi, nonché traduzioni in lingue moderne. Il primo è incluso fra i canti di protezione (paritta) che vengono ancor oggi eseguiti in certe occasioni dai monaci di tradizione theravāda.
Nell’Aḷavakasutta sono menzionate en passant altri classi di esseri non umani (devā, māra e brahmā) all’interno di un’espressione stereotipata con cui spesso si allude alla totalità del ‘mondo’ con l’intera gamma del bene e del male a ogni possibile livello di esperienza. Per semplicità li ho resi qui con “dèi, demoni e angeli”, ma cfr il già citato Dictionary of Pāli Proper Names per approfondire.
Il termine yakkha si potrebbe rendere (seguendo la traduzione inglese di Bhante Sujato) con ‘spirito locale’ , che richiama il genius loci della religione romana; è preferibile forse a ‘demone’ e ‘orco’ (specie dopo Il Signore degli Anelli). Poiché, nei sutta, yakkha ricorre anche come epiteto del Buddha, nel senso di uomo potente o vigoroso (in senso spirituale), non sembra che il termine avesse in origine connotazioni negative o di malvagità. Certo, non tutti gli yakkha hanno un bel carattere o sono amici del Sangha, come si evince dal famoso episodio dell’ Udana in cui uno yakkha di passaggio, senza ragione apparente e ignorando i buoni consigli del suo compare, non resiste all’impulso di dare una bastonata in testa al grande monaco Sāriputta che medita al chiaro di luna! Pur non essendo particolarmente belli o buoni, gli yakkha cercano di migliorarsi e di trascendere la sofferenza; sono capaci di fede, di ammirazione, di tenerezza, danno buoni consigli e danno una mano quando possono. A volte, pongono domande su questioni importanti.
Dal canto suo, lo yakkha Maṇibhadda (un ‘ritratto’ del quale si vede nell’illustrazione in alto) esalta i benefici della consapevolezza o presenza mentale (sati); il Buddha lo corregge, in parte: la consapevolezza non basta a vincere l’odio, occorre coltivare amore e compassione.

Yakkhini – Stupa di Sanchi
Con Āḷavaka (SN10.12)
Così ho udito. In una certa occasione il Buddha soggiornava nei pressi di Āḷavī, dov’è di casa lo yakkha Āḷavaka. E lo yakkha Āḷavaka si recò dal Buddha e quivi giunto lo apostrofò così:
“Esci, monaco!”
“Va bene, amico” disse il Buddha, e uscì.
“Entra, monaco!”
“Va bene, amico” disse il Buddha, e rientrò.
Per la seconda volta lo yakkha Āḷavaka disse:
“Esci, monaco!”
“Va bene, amico”, disse il Buddha, e uscì.
“Entra, monaco!”.
“Va bene, amico” disse il Buddha, e rientrò.
Per la terza volta lo yakkha disse: “Esci, monaco!” [come sopra]
Per la quarta volta lo yakkha Āḷavaka disse: “Esci, monaco”. Ma il Buddha rispose: “Non uscirò, amico. Fai quel che devi fare”.
“Monaco, ti farò una domanda: se non risponderai sconvolgerò la tua mente, ti schianterò il cuore o afferrandoti per i piedi ti scaraventerò dall’altra parte del Gange!”.
“Amico, non vedo nessuno in questo mondo con i suoi dèi, diavoli e angeli, i suoi asceti e sacerdoti, principi e gente comune, che possa sconvolgermi la mente, schiantarmi il cuore o scaraventarmi dall’altra parte del Gange afferrandomi per i piedi. A ogni modo, domanda quel che vuoi”.
[Āḷavaka] “Qual è per un uomo il tesoro più grande? Cosa rende felici se ben praticato? Qual è il gusto più dolce? Di chi si può dire che viva la vita migliore?”
[Il Buddha] “La fede è il tesoro più grande di un uomo. Il Dhamma rende felici se ben praticato. La verità ha il gusto più dolce. Di chi vive con saggezza si può dire che viva la vita migliore”.
“Come si attraversa la piena? Come si attraversa il mare? Come si supera la sofferenza? Come ci si purifica?”
“Con la fede si attraversa la piena. Con la diligenza, il mare. Con l’energia si supera la sofferenza. Con la saggezza ci si purifica”.
“Come si acquista la saggezza? Come si trova la ricchezza? Come si ottiene una buona reputazione? Come si cementano le amicizie? Come si passa da questo all’altro mondo senza angoscia?”
“Con il desiderio di apprendere, con la fiducia nei realizzati e nell’insegnamento che porta alla pace, chi è accurato e riflessivo acquista la saggezza. Facendo ciò che occorre, responsabilmente, chi ha iniziativa trova la ricchezza. La buona reputazione si guadagna con l’onestà. La generosità cementa le amicizie. Così si passa da questo all’altro mondo senza angoscia.
“Il laico fiducioso che ha queste quattro qualità – è veritiero, retto, perseverante, generoso – muore serenamente. Chiedilo pure ad altri – ai tanti contemplativi e sacerdoti – se ci siano cose migliori di verità, padronanza di sé, generosità e pazienza”.
“Perché mai dovrei chiederlo ai tanti contemplativi e sacerdoti? Oggi ho capito cosa giova alla vita futura. Di certo è per il mio bene che il Buddha è giunto ad Āḷavī. Oggi ho compreso dove un dono reca grande frutto. Io stesso viaggerò di villaggio in villaggio, di città in città, rendendo omaggio al Risvegliato e all’eccellenza del Dhamma”.
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Con Maṇibhadda (SN 10.4)
In una certa occasione il Buddha soggiornava nel Magadha, al santuario Maṇimālika dov’è di casa lo yakkha Maṇibhadda. E lo yakkha Maṇibhadda si accostò al Buddha e in sua presenza recitò questo verso:
“Chi è consapevole ha sempre fortuna
Chi è consapevole è più felice
Chi è consapevole ha un domani migliore
E si libera dall’odio”.
[Il Buddha]
“Chi è consapevole ha sempre fortuna
Chi è consapevole è più felice
Chi è consapevole ha un domani migliore
Ma non si libera dall’odio.
Chi notte e giorno
nutre pensieri di compassione
ed è amorevole verso tutti gli esseri
non odia più”.