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Nel post precedente abbiamo considerato il vero amico o “amico sincero” (suhadamitta) come contrapposto al “falso amico” (DN 31) e le qualità che rendono preziosa, e degna di essere ricercata, la compagnia di qualcuno. L’amicizia in questo caso è vista, in generale, come una relazione personale, paritaria e di mutuo beneficio basata su bisogni e valori condivisi o condivisibili da molti, o quanto meno da persone riflessive e dotate di sensibilità etica.

In questo post traduco invece un discorso (Saṃyutta Nikāya 45.2) da cui emerge la connotazione specifica che l’espressione kalyāṇamitta riveste in riferimento alla coltivazione dell’ottuplice sentiero, e quindi per coloro che si riconoscono negli insegnamenti del Buddha e aspirano a metterli in pratica. Il Dhamma stesso è descritto come kalyāṇa, ossia bello, ammirevole, (1) nel senso di “qualcosa che rincuora, nutre, ritempra, che reca diletto all’animo” .(2) Occorre tener conto di queste diverse sfumature dell’aggettivo per comprendere appieno la natura della ‘buona amicizia’ di cui si parla qui. Scrive Bhikkhu Bodhi: “Come sostantivo indipendente kalyāṇamitta significa un buon amico, nel senso di un amico spirituale che offre consiglio, guida e incoraggiamento. Quando è usato in apposizione a bhikkhu, tuttavia […] l’intera espressione significa ‘un bhikkhu che ha un buon amico’”. (3)

Così come l’alba annuncia e precede il sorgere del sole, così per un bhikkhu la buona amicizia annuncia e precede il sorgere dei sette fattori del risveglio. Quando un bhikkhu ha un buon amico, è possibile che coltivi e sviluppi i sette fattori del risveglio. Saṃyutta Nikāya 46.8

Naturalmente, anche in questo caso il riferimento ai bhikkhu cioè ai monaci che hanno ricevuto la piena ordinazione (e in altri testi delle scuole antiche a bhikkhuni, cioè a monache) non esclude che l’insegnamento valga anche per i laici uomini e donne che praticano l’ottuplice sentiero in maniera dedicata. Anzi, il Buddha consiglia espressamente ai laici di coltivare la kalyāṇamittatā (nel brano seguente tratto dall’Aṅguttara Nikāya seguo Thanissaro Bhikkhu nella resa del termine):

E cosa si intende per amicizia ammirevole? C’è il caso in cui una persona laica abita in città o in un villaggio. E in quella città o villaggio vi sono capofamiglia, o i loro figli, che sono giovani o anziani ma comunque maturi nella condotta, che hanno sviluppato fiducia, etica, generosità e discernimento. Così li frequenta, conversa con loro, affronta con loro un argomento. Ed emula la loro stessa fiducia, etica, generosità e discernimento. (AN 8.54)

Per inquadrare il dialogo fra il Buddha e Ānanda messo in scena nel testo seguente è poi utile ricordare che una delle qualità del Dhamma sottolineate nei Discorsi è quella di rafforzare l’autonomia e scoraggiare il gregarismo (p. es.  AN 8.53 Riconoscere il Dhamma).  Dunque il valore della buona amicizia come ‘intera vita spirituale’ non sta nel dipendere da un gruppo o da un insegnante, ma nel fatto che la retta comprensione e gli altri fattori del sentiero emergono nel contesto di una relazione e di un incontro, in primo luogo con il Buddha.(4)

Così ho udito. In quel tempo il Maestro dimorava nella terra dei Sakya, dove c’è una città chiamata Nagaraka. Allora il venerabile Ānanda si accostò al Maestro. Dopo essersi accostato, lo salutò rispettosamente, si sedette da un canto e gli disse: “Signore, questa è la metà della vita spirituale: la buona amicizia, la buona compagnia, la buona associazione. “No Ānanda! La buona amicizia, la buona compagnia, la buona associazione è l’intera vita spirituale. Se un bhikkhu ha buoni amici, buoni compagni, buoni associati, è possibile che sviluppi e coltivi il nobile ottuplice sentiero.

“E in che modo, Ānanda, un bhikkhu che ha un buon amico, un buon compagno, un buon associato, sviluppa e coltiva il nobile ottuplice sentiero? Ānanda, un bhikkhu sviluppa la retta prospettiva che dipende dalla separazione [dalle qualità non salutari], dal distacco, dalla cessazione, e matura nel lasciar andare. Sviluppa la retta intenzione … retta parola … retti mezzi di sostentamento … retto sforzo … retta presenza mentale .. retta concentrazione che dipende dalla separazione, dal distacco, dalla cessazione, e matura nel lasciar andare. (5) È in questo modo, Ānanda, che un bhikkhu che ha un buon amico, un buon compagno, un buon associato, sviluppa e coltiva il nobile ottuplice sentiero.

E anche da questo, Ānanda, si può capire come l’intera vita spirituale sia buona amicizia, buona compagnia, buona associazione: facendo affidamento su di me come buon amico (kalyāṇamitta) gli esseri soggetti alla nascita sono affrancati dalla nascita, gli esseri soggetti alla vecchiaia sono affrancati dalla vecchiaia, gli esseri soggetti alla morte sono affrancati dalla morte; gli esseri soggetti a tristezza, lamento, dolore, angoscia e disperazione sono affrancati da tristezza, lamento, dolore, angoscia e disperazione. Anche per questo, Ānanda, si può capire come l’intera vita spirituale consista nella buona amicizia, nella buona compagnia, nella buona associazione.”

(1) Il Buddha insegna un Dhamma che è “bello all’inizio, bello nel mezzo e bello alla fine”  cfr. p. es. MN 41   Altrove si sottolinea che il Dhamma ha lo stesso gusto a qualunque livello (iniziale, intermedio o finale) come una goccia del mare ha il sapore di sale di tutto l’oceano.

(2) Achaan Sucitto, Kalyana: il sentiero graduale del Buddha, Astrolabio 2003, p. 59. Consiglio di leggere l’intero volumetto, ma in particolare il cap. 4 “Associarsi con il bello” come commento a questa qualità attribuita al Dhamma e all’amicizia spirituale.

(3) The Connected Discourses of the Buddha: A Translation of the Saṃyutta Nikāya by Bhikkhu Bodhi, Wisdom Pub., 1999 – nota 6 p. 1890. Il solo testo della traduzione di SN 54.2 è disponibile anche online su  https://suttacentral.net/sn45.2/en/bodhi

(4) A questo proposito Achaan Sucitto commenta:  “Di solito ci si ferma lì pensando: ‘Dunque il Buddha conveniva che ciò che conta è avere buoni amici nella vita religiosa’. Cosa improbabile, specialmente trattandosi di Ananda a cui il Buddha rimprovera di quando in quando il troppo amore della compagnia”. op. cit. p. 59.

(5) Questa sequenza ricorre nei Discorsi in associazione con ‘nissitaṃ’ (= basato su, in dipendenza da) per indicare sia la direzione generale sia il modo di portare avanti la pratica, culminante nel lasciar andare. Vedi anche la sezione sui sette fattori del risveglio inclusa nel Discorso sulla consapevolezza inspirando ed espirando MN 18, e il già citato SN 46.12.  I termini chiave (viveka virāga nirodha vossagga) sono stati resi variamente, ma comunque indicano una mente pacificata a diversi gradi; un’inclinazione generale verso l’attenuarsi delle aspettative e della negatività nei confronti del mondo, nonché dell’illusione che vede la permanenza e solidifica l’esperienza; di qui la possibilità di non aggrapparsi ciecamente a oggetti, idee o identità. Vossagga è un ‘mollare la presa’ o ‘rilasciare’ che va dalla semplice generosità o condivisione, al rilassamento associato a una felice rinuncia; a un livello più alto è una mente incline all’ abbandono, che non si aggrappa al condizionato e sfocia nel nibbāna (la pace incondizionata).