- Nell’incertezza circa la tempistica con cui potremo riprendere il programma di ritiri e incontri e/o organizzarne di nuovi – vedi CALENDARIO – nel frattempo potremmo vederci da casa per una serie di INCONTRI DI MEDITAZIONE ONLINE il LUNEDI ALLE 18.30 dal 13 APRILE al 18 MAGGIO INFO Non c’è bisogno di prenotazione, basta mettervi comodi sul vostro cuscino di meditazione, poltrona, letto ecc. con il computer a portata di mano … e se condividete l’appartamento con qualcuno negoziare con flessibilità e compassione uno spazietto per voi … La meditazione potrebbe essere guidata e/o offrirò qualche spunto di riflessione sul Dhamma, ma non è un corso o un seminario, quindi non mi impegno a nulla di sistematico o prevedibile! La piattaforma Zoom che useremo è semplice da usare, non serve preoccuparsi di nulla. Oh, e potrei invitarvi a cantare in pali, quindi tenete pronti i testi (non registreremo nulla, niente paura!) SCARICA IL TESTO Omaggio al Buddha Rifugi e Precetti PDF* Brahmavihara PDF ASCOLTA
- E in tema di protezione … sul piano fisico e della salute possiamo solo fare ciò che è ragionevole e possibile per proteggere il nostro e altrui benessere, entro gli inevitabili limiti delle circostanze, delle condizioni individuali e della natura. Ma in termini di Dhamma, proteggere se stessi e gli altri ha un’altra e più profonda sfumatura, e nei discorsi del buddhismo antico è chiaramente legato allo sviluppo della presenza mentale secondo i 4 satipaṭṭhāna come modo per prevenire e curare le ‘malattie’ dell’avidità, dell’avversione e dell’illusione. Condivido qui la traduzione italiana a cura di G. Raspa del saggio di Bhikkhu Anālayo Proteggere se stessi e gli altri attraverso la presenza mentale: la similitudine dell’acrobata nel SAṂYUKTA-ĀGAMA una traduzione e studio del parallelo cinese del forse più noto Sedaka sutta del Saṃyutta-nikāya SN 47.19 trad. Bodhi; mia trad. it. vedi QUI
- Ho aggiornato la pagina Blog e Privacy con indicazioni spero più chiare su come iscriversi al Blog per ricevere automaticamente notifica dei nuovi articoli e dei commenti. Ho anche aggiunto un nuovo riquadro SEGUI VIA E-MAIL sulla colonna di sinistra (versione desktop) Colgo l’occasione per far notare che dalla colonna di sinistra potete cercare gli articoli attraverso la Categoria (SUTTA raccoglie i post con traduzioni o citazioni dai Discorsi), il soggetto o TAG, ed esplorare i vecchi articoli nell’ARCHIVIO. Augurandovi buona lettura vi invito a postare commenti e domande e a leggere quelli degli altri lettori, spesso molto interessanti e utili soprattutto se legati a seminari o temi specifici.
*Testo scaricato dal sito di Saddha
** Per la foto ringrazio l’amica Jill Eden di Melbourne.
Grazie ma questo post è del 2020… Purtroppo nella visualizzazione sullo smartphone non si vedono bene le date (sono in fondo)
Le nuove iniziative di meditazione sono pubblicate in Calendario. Buone cose!
Grazie Letizia!! Che proposta di respiro l accesso libero alla meditazione del lunedì!!
Grazie per il tuo amore dolcezza accudienza e grande conoscenza!
Un grande abbraccio pieno di metta🙏🌼
Cara Letizia e cari tutti grazie per le occasioni di riflessione che mi avete dato. La consapevolezza che mi ha raggiunta con la meditazione di ieri è questa:da una parte stanno resistenza, felicità e neutralità, equivalenti tra loro. Dall’altra sta la gioia. Forse un’ovvieta’per molti, per me una deflagrazione
Be’, non credo sia ‘ovvio’ per lo più… Ma è un senso di indipendenza, non è vero?
Esatto. Grazie letizia
Cara Letizia, ho letto il testo di Bhikkhu Analayo “How compassion became painful”. Se ho ben letto la pratica del Tong Len al pari dell’empatia, è qualcosa di molto diverso da quella della compassione. La compassione porta alla gioia, il Tong Len può invece provocare sofferenza. Sono due strade opposte. Analayo scrive che per chi aspira alla buddita’ può essere necessario prendere il dolore degli altri mentre chi non ha questa aspirazione può coltivare la compassione che da la gioia. Da qualche tempo cerco di praticare il Tong Len e capisco ora che ero sulla strada sbagliata. O meglio fuorviante. La grande saggezza (visione lucida) che la pratica della compassione genera non si riesce a cogliere se non si ha chiara questa differenza. Ho capito bene? E quindi: Perché si insiste ad insegnare il Tong Len? Grazie Letizia
Non credo che Analayo volesse ‘criticare’ la pratica Mahayana, ma solo metterne in luce le differenze e le possibili complicazioni psicologiche, che forse hai sperimentato anche tu. La meditazione sulla compassione nel buddhismo antico ha per oggetto non la sofferenza, ma il desiderio che non vi sia danno, la libertà dalla sofferenza o una risposta sana alla sofferenza. Si associa alla gioia perché la mente abbandona l’egocentrismo e soprattutto la crudeltà, la violenza e l’indifferenza, e si concentra attorno questa qualità bella e salutare.
Credo che un praticante che sviluppa coerentemente tutto l’addestramento mahayana, che include la comprensione della vacuità, potrebbe spiegarti meglio il ruolo del Tong Len di quanto saprei fare io.
Ma la cosa importante è che tu trovi una pratica che va bene per te e se il modo di concepire la compassione nel buddhismo antico ti sembra più vicino alla tua sensibilità, benissimo! Nella sezione AUDIO trovi due ritiri a Tossignano: La mente amichevole e La compassione nel buddhismo antico, che sono una introduzione alla pratica dei brahmavihara. Vedrai che questa meditazione ha dei presupposti, e che si basa sullo sviluppo della presenza mentale (satipatthana)
Grazie!
carissima Letizia, vorrei riportare queste parole di pace (non mie) che si inseriscono perfettamente nel sentiero della pratica, le scrivo proprio alla vigilia dell’anniversario della liberazione:
“Ci fu un momento importante nella mia vita,un episodio privato incastonato nell’evento epocale che stavo vivendo. Il comandante di quell’ultimo campo,crudele assassino, camminava vicino a me, si spogliò, rimase in mutande, si rivestì da civile.Tornava a casa dai suoi bambini e da sua moglie.
Certamente non si accorgeva di me perchè io ero uno stunk, un pezzo.
Quando buttò la pistola ai miei piedi, con tutto l’odio che avevo dentro e la violenza subita che mi invadeva il corpo, pensai per un istante “adesso mi chino prendo la pistola e in questa confusione assoluta lo ammazzo”..ma fu un attimo.
Un attimo importantissimo definitivo nella mia vita, che mi fece capire che io mai, per nessun motivo al mondo avrei potuto uccidere.. Che nella debolezza estrema che mi vinceva, la mia etica e l’amore che avevo ricevuto da bambina mi impedivano di diventare uguale a quell’uomo, -Non avrei mai potuto raccogliere la pistola e sparare al comandante Malchow.
Io avevo sempre scelto la vita. quando si fa questa scelta non si può togliere la vita a nessuno.
E da quel momento sono stata libera”
Liliana Segre (sopravvissuta ad Aushwitz)
Cara Letizia, l’ultimo incontro con la meditazione di metta è stato molto intenso, te ne sono grata. La mia proposta è quella di continuare con la pratica di tutti e quattro i brahmavihara. In questi tempi così difficili sento certamente il bisogno di benevolenza e compassione, ma anche di gioia e soprattutto di equanimità. Che ne dici?
Ciao Letizia, potresti aiutarmi a capire bene che si intende per “ comprendere pienamente” la sofferenza e soprattutto che cosa si deve fare quando si medita a tal fine? Tante cose ho letto: indugiare, lasciare andare, comprendere ma sono confusa su qual è l’azione che descrive “ comprendere” , non indugiare, lasciare andare….
Ciao Roberta, non sono certa di aver capito la tua domanda … se il tuo riferimento sono le 4 nobili verità insegnate dal Buddha, ‘comprendere dukkha’ è la prima e ha due aspetti: uno riguarda la comprensione della caratteristica di tutti i fenomeni e processi condizionati (i 5 khandha) come intrinsecamente incerti, inappaganti, impermanenti e frutto di cause e condizioni, e come afferrarli e appropriarsene genera sofferenza. Si inizia da una riflessione sugli insegnamenti, che sono uno strumento per guidare la diretta osservazione della nostra esperienza secondo categorie nuove e più efficaci che semplificano e consentono di riflettere con saggezza e in modo meno invischiato. E’ un addestramento graduale, e in genere si fa praticando in maniera sistematica uno o più metodi di meditazione che allenano la mente a un’attenzione focalizzata e chiara e sviluppano qualità sane e luminose del cuore.
Quando la mente è più forte e calma, e sa come sostenere la presenza mentale sul flusso dell’esperienza nel presente (sati, la consapevolezza che si esercita nelle varie contemplazioni satipatthana), è anche più pronta a ricevere la realtà. Allora comprendere la sofferenza è un reale incontro, un sentire fino in fondo, un abbracciare con apertura, senza attaccamento e senza avversione, come si presenta in questo momento, come sorge e cessa.
Il ‘lasciar andare’ si riferisce alla causa, che è l’attaccamento al desiderio.
Mi fermerei qui, però, perché la tua domanda è l’intero programma dell’ottuplice sentiero!
Posso dire però che ‘comprendere pienamente’ è un processo profondo che porta ad abbandonare gradualmente l’avidità, l’odio e l’illusione. Quindi bisogna saper riconoscere queste tendenze in noi, come condizionano il nostro modo di vivere, sentire e pensare alla sofferenza.
Spero di non averti ulteriormente confusa … ‘comprendere pienamente’ non è “una” azione o una tecnica ma un intero percorso, di maturazione psicologica e di sviluppo mentale.
Grazie Letizia.
Tu parli di “nuove categorie” attraverso le quali osservare la nostra esperienza (e che queste si trovano nei discorsi del Buddha). Cosa intendi? Attraverso quali categorie si forma “normalmente” l’esperienza e quali sono quelle che ne consentono una comprensione più “saggia”?
Le categorie a cui mi riferisco sono quelle del satipatthana o 4 fondamenti della presenza mentale. Sulla percezione, puoi vedere anche qui
https://letiziabaglioni.com/2019/10/07/laboratorio-mestre-2019/
Penso che chi è interessato a conoscere l’insegnamento del Buddha potrà trovare sufficiente materiale su questo blog (cercando attraverso le parole chiave o gli archivi) oppure sui siti che consiglio nella sezione link, per farsi una propria idea in merito alle domande che poni. Poi, se interessa affinare la comprensione e farla propria, è necessaria la pratica, nelle sedi e nei modi opportuni.
Le poche cose che ho da aggiungere come spiegazione teorica si trovano nei file audio tratti dai miei ritiri.
Ciao Letizia, ho partecipato alla meditazione di ieri e ringrazio te e tutti quanti per le parole che ho sentito e per essermi sentito con voi. Ieri, al termine della meditazione ho scritto sulla chat che “sentivo la pace, non come una mia condizione ma come se mi trovassi in mezzo ad un campo di pace che percepivo anche in presenza di altro che non era pace”, o qualcosa di simile. Non sapevo ne’ so come meglio definire questo sentire: percepire sia la pace sia il turbamento, senza che nessuna delle due sensazioni annienti l’altra, godere della pace anche in presenza della sofferenza, senza ignorare la sofferenza.
Condivido con voi un episodio scusandomi per la prolissità e per occupare questo spazio … potete sempre smettere di leggere prima della fine!
Ieri è stato così come ho descritto … questa mattina ho partecipato ad una riunione di lavoro con alcuni colleghi e la mia dirigente. Facciamo il punto della situazione settimanale e la dirigente ci comunica gli orientamenti della direzione politico amministrativa (lavoro nel Comune di Torino). Il tema di oggi – una costante degli ultimi appuntamenti – era come prepararci alla ripresa e come accertarsi che le persone che lavorano in smart working lavorino per davvero – anche se in misura ridotta – e come, in caso contrario, intervenire … La preoccupazione manifestata palesemente dai miei colleghi era relativa alla mancanza di dispositivi e di condizioni per potere rientrare negli uffici. La preoccupazione manifestata dalla mia dirigente con rabbia era relativa al fatto di non trovare giusto sanzionare qualche impiegato inadempiente (che in termini pratici vuol dire addebitargli un giorno di ferie invece che essere considerato in smart working). Ho percepito tanta paura e tanta rabbia. Sentivo che non erano emozioni fuori luogo ma allo stesso tempo mi sembrava di essere un marziano, non perché fossi estraneo a quelle emozioni, ma mi è sembrato chiaramente che cercassero qualcuno e qualcosa che li rassicurasse mentre io pensavo che non c’è qualcuno che ci possa rassicurare, non almeno nei termini che mi sembrava chiedessero loro. Ho titubato un po’ e poi sono intervenuto cercando di condividere che secondo me nessuno (governo, sindaco, scienziati …) ci potrà dare quella certezza di cui sentiamo di avere bisogno, ma, richiamando quel che di buono l’intero gruppo di lavoro è riuscito a fare in queste condizioni, possiamo confidare sulla nostra capacità e volontà di fare bene e del bene ed utilizzare questo come sostegno per continuare ad affrontare le avversità, mentre la rabbia che proviamo se non riusciamo ad utilizzarla come energia per intervenire in qualche modo ci costringe in una condizione ancora più faticosa e dolorosa … probabilmente è stata una filippica, o sono stato percepito come chi voleva dare una lezione di vita, non so! La mia intenzione, almeno quella dichiarata a me stesso sul momento era di rassicurare, di fare notare che non c’è solo il male e che quel male diventa tanto più grande quanto meno valorizziamo il bello … La mia dirigente mi ha risposto che quello in cui vivo io è il paese dei Puffi, mentre invece il posto reale dove stiamo vivendo è quello che ci ingabbia sempre più, ecc., ecc.. Ho trovato divertente la similitudine dei Puffi, ma mi sono accorto che la sua risposta mi faceva male. Così sono ritornato a quanto avevo detto ieri al termine della meditazione e mi sono accorto, proprio in quel momento, che ero lontano dal riconoscere che la pace è qualcosa che posso percepire, con cui posso connettermi, ma che non posso possedere. Ed invece mi sono visto che parlavo con i miei colleghi e che pretendevo di dare loro qualcosa che, a parte che probabilmente non volevano, trattavo come se fosse una cosa mia … Anche questa è stata una lezione.
Grazie per la pazienza buon proseguimento di vita a tutti.
Caro Paolo, penso che non ci sia nulla come il gruppo, un’istituzione o un’azienda, che sia capace di distruggerci ma anche, se sopravviviamo, di impartirci le lezioni non teoriche di cui abbiamo bisogno. Soprattutto se aspiriamo alla vera libertà interiore, piuttosto che a vivere nel ‘paese dei Puffi’. Questo perché le dinamiche cui ci sottopone ci costringono (se siamo saggi e/o non possiamo permetterci di licenziarci) a essere flessibili, e ad accettare la nostra impotenza, il nostro potere, e le emozioni tipiche del campo sociale come un’espressione naturale del dukkha delle condizioni, invece che come qualcosa di sbagliato che non dovrebbe esserci. ma non siamo costretti a indossare quelle emozioni come fossero nostre per farci accettare, né a sposare il punto di vista di chicchessia.
Molti pensano erroneamente di essere migliori perché praticano la meditazione o hanno ideali elevati; ma tu hai capito che il tuo punto di vista, per quanto nobile e animato da buone intenzioni, è solo un punto di vista in mezzo ad altri, e neppure il più popolare.
Quando i suoi monaci ‘predicavano’ soluzioni ragionevoli alla sofferenza e all’attrito, Ajahn Chah rispondeva: “Giusto … ma non vero. Vero … ma non giusto”. Diceva anche che se uno vive come fosse già morto, anche in mezzo alla società, molta paura se ne va e la vita diventa un mistero e un’avventura. Il dolore e la frustrazione del vivere, assaporate fino in fondo senza commento e senza compianto, si rivelano un margine mobile, che apre su uno spazio di illimitata vitalità.
Trovo che il bello del vivere nella realtà, e non nella propria testa o nell’immagine di sé, è che anche quando non vinci, quando fai la figura del cretino, hai dato comunque il tuo contributo, che ha valore perché è parte di un processo comune e nasce dalla tua autenticità. Anche io vivo questo: la pace non può essere posseduta o data ad altri. Ti trova quando ti arrendi. Si comunica quando e come non vuoi. E c’è una gioia paradossale che accompagna una vita vissuta con integrità, ma senza controllo o presunzione.
Anch’io ho occupato tanto spazio! Mi ha fatto piacere leggerti.
… grazie per accompagnarci in uno spazio di consapevolezza allargata anche a chi non partecipa direttamente.
Cara Letizia purtroppo anche oggi, questa volta ancor prima che cominciasse la meditazione, si è interrotta la mia connessione e non sono più riuscita ad entrare perché l’ingresso era bloccato. Che dispiacere.. Ma è possibile registrare queste preziose meditazioni? Grazie!
Dispiace anche a me Amyel… non potresti usare un computer collegato con cavo al modem? Io faccio così perché il WiFi rende la connessione più instabile. Non avevo previsto di registrare le meditazioni, anche perché non sempre sono guidate e ogni volta lo spazio interattivo può cambiare.
Lunedì prossimo proverò a fare qualcosa di meglio. Grazie cara letizia!
Carissima Letizia e cari tutti, ringrazio molto per questa bellissima possibilità di ritrovarci insieme (grazie anche a chi organizza e permette tutto questo) perché, almeno per me, la pratica con la condivisione potenzia la pratica stessa. Vorrei sottolineare un aspetto del Metodo, della Via che mi è rimasto nel cuore più di altre volte in questa settimana e su cui Letizia ha posto l’accento lunedì scorso: l’etica come rifugio. Riflettevo sul fatto che, in una Via che pone il soggetto al centro, il rischio di sviluppare un forte egocentrismo è notevole (concentrarsi sul proprio benessere, considerare la pratica come il modo per risolvere i propri problemi emotivi … ecc.), inoltre è presente anche il pericolo di abbandonarsi ad un relativismo cinico, ad un appiattimento della realtà in un’indistinta uguaglianza delle cose, coltivando malamente l’equanimitá; se non esistesse tutto il sistema etico, che in un certo senso rappresenta il perno del Metodo, sarebbe facile incorrere in derive egoiche, appunto, che renderebbero vano tutto il percorso, trasformandolo in una “tecnica” a proprio uso e consumo, per forza di cose assolutamente insoddisfacente. Ricordarsi dell’altro, del bene comune ci salvaguarda da questi rischi o ci aiuta a riconoscerli per “aggiustare il tiro”. Ecco, ora mi sembra un po’ più chiaro il ruolo dell’etica, che mi piace rappresentarmi come un sistema di contrappesi, che intervengono ad equilibrare le eventuali derive verso se stessi o anche verso l’altro. L’etica, cioè, ci riporta alla Realtà, ci impone di tenere sempre a mente che siamo interconnessi, interdipendenti. Per questo è un vero Rifugio, perché tutela, protegge tutti noi dalla frammentazione. Insomma, c’è un’immensa saggezza in tutto ciò.
Vorrei unirmi alla proposta di Elizabeth circa la pratica di Mettā, che anche per me in questo periodo risulta importante. Grazie ancora, infinitamente.
“sarebbe facile incorrere in derive egoiche, appunto, che renderebbero vano tutto il percorso, trasformandolo in una “tecnica” a proprio uso e consumo, per forza di cose assolutamente insoddisfacente. Ricordarsi dell’altro, del bene comune, ci salvaguarda da questi rischi o ci aiuta a riconoscerli per “aggiustare il tiro”.
Credo anch’io sia così, Roberta. Per quanto riguarda il ruolo dell’etica nell’ottuplice sentiero, forse sarebbe più accurato definirlo ‘base’, o indispensabile fondamento, più che “perno”. La corretta prospettiva, o appropriata comprensione, è ciò a cui tutta la pratica fa riferimento e attorno a cui ruota, e che indirizza anche lo sviluppo o addestramento etico secondo l’insegnamento del Buddha. Ciò è diverso da una concezione della moralità come fine a se stessa, o come metro di giudizio degli altri e distanziamento dalla realtà della nostra condizione umana, imperfetta e soggetta all’ignoranza.
Il secondo fattore del sentiero che discende dalla retta visione è la “retta intenzione” o “retta motivazione”: non avidità/lasciar andare, benevolenza, compassione.
Dunque non qualunque forma di etica o moralità è approvata dal Buddha, ma ciò che discende da queste qualità del cuore e da queste intenzioni verso gli altri, indipendentemente dal fatto che approviamo o no il loro comportamento.
Grazie, Letizia, ora è più chiaro e mi conferma ancor di più la saggezza che permea questa Via.
Cara Letizia, sono Amyel. Ti volevo ringraziare per la meditazione di lunedì scorso e dirti che sono stata felice di rivederti in salute. Purtroppo proprio quando hai cominciato a parlare al termine della meditazione la mia connessione si è interrotta e non ho più potuto ricollegarmi. Ho letto i commenti precedenti e mi trovo in assonanza con chi racconta della sua difficoltà a relazionarsi con chi si trova oggi a una certa distanza dal suo universo morale. Credo anche io che il momento che stiamo vivendo abbia messo in luce con maggiore evidenza una impellente necessità etica. E che siamo adesso forse più esigenti nei confronti delle persone che costituiscono il nostro mondo affettivo. Che ne pensi? Grazie cara Letizia
Ciao Amyel, grazie del messaggio e dello spunto di riflessione. Non ho esattamente una risposta, ma proverò a integrarlo e riprendere il filo un prossimo lunedì sera. Allora a presto (tecnologia permettendo!).
Grazie Letizia e tutti/e per il bell’incontro di ieri sera. Tanti commenti e riflessioni utili. Mi è rimasto una risonanza profonda e calda della presa dei rifugi cantato insieme.
In questi giorni ho molto bisogno di praticare la metta e karuna – posso proporre una meditazione guidata su queste temi?
Certo che puoi proporla. Ci stavo pensando anch’io …
Salve,
Ringraziandola moltissimo della disponibilità, le scrivo per proporre un tema che, partendo da un’esperienza personale, forse può essere ampliato e trasformato per rispondere anche ad altre domande.
Mi scuso fin d’ora se uso in modo inappropriato termini e categorie.
E’ un’esperienza molto semplice ma che, ne mio caso, si presenta sotto molte forme diverse.
L’esempio è questo:
Dopo un lungo percorso ho raggiunto un modo di vivere che ha come elementi importanti la moderazione nel mangiare ed il movimento fisico.
Sono seduta in meditazione e la figura di una persona che è invece di opinioni molto diverse dalle mie si affaccia alla mente.
Questa persona è naturalmente convinta delle sue opinioni (che non manca di farmi notare) e lo “scontro” è aperto quando dobbiamo fare delle cose insieme che toccano questi argomenti.
Io sto cercando da tempo di essere consapevole di quello che succede sia dentro di me che dentro di lei e sono riuscita per lo meno a non reagire immediatamente con avversione e a pacificare la situazione. Ma è evidente che non è sufficiente.
In tutto questo sento forte una resistenza e un attaccamento al mio concetto di identità che viene messo in atto della continua rilevazione delle differenze (“io sono meglio di lei”).
Ho provato a vedere tutto il processo che porta al Papancha, ho provato a vedere l’attaccamento nel sistema Nama-Rupa-Coscienza ma non riesco ad andare in profondità.
Grazie molte anche solo per aver letto questo messaggio.
Buona giornata
Beatrice Fusi
Cara Beatrice, se ho compreso bene, si tratta di una questione relazionale, che non può essere analizzata o risolta stando seduti in meditazione. Certamente la consapevolezza dei propri moti interiori e attaccamenti (alle opinioni e all’identità) può aiutare a prendere un po’ di distanza dalla dinamica emotiva, ma i rapporti con gli altri necessitano di essere elaborati nella vita reale tenendo conto dei bisogni e delle aspettative di ciascuno. In altri termini: che tipo di rapporto è? voglio (o debbo, nel caso di minori, familiari, ecc.) frequentare/amare ecc. Tizio o Caia conscia delle differenze e rispettando e chiedendo rispetto per i reciproci modi di essere e pensare (nella misura in cui non violano i precetti etici, nel caso in cui uno dei due sia un praticante buddhista). Se la risposta è sì, e sento davvero che vale la pena continuare a frequentare X, il secondo passo (almeno per me) è abbassare le pretese: l’armonia assoluta nelle relazioni è un’utopia, e l’orgoglio, l’invidia, la competizione e il paragone sono parte integrante di ogni normale relazione (a meno di essere un arahant o avere un grado di risveglio notevole) Quando lascio perdere gli idealismi, so che mi scapperà la pazienza e qualche volta scapperà all’altro, ma posso cercare di arrivare a un dialogo in cui ciascuno si impegna a venirsi incontro, accettandosi e rispettandosi per come si è e senza cercare di convincersi. I compromessi pratici sono sempre insoddisfacenti, e così dev’essere. Sottolineo che dev’essere una scelta di benevolenza reciproca, altrimenti è inutile frequentarsi.
Ovviamente la mia risposta è generica, perché non è il caso di entrare nei dettagli del rapporto in questione. Ma il mio punto di vista è che in meditazione si porta l’attenzione nel presente e si cerca di chiarire cosa accade nella mente (il ricordo di un litigio è un ricordo, tentare un’analisi tipo vipassana in una mente agitata e non concentrata non è opportuno; la priorità è riconoscere la presenza dei pensieri distraenti e dei cinque impedimenti e lasciarli andare. )
Certe relazioni mettono in luce le nostre idee ed aspettative su come dovrebbe essere un rapporto (un’amicizia, ecc.) quindi non c’è una soluzione secondo me, ma solo l’onesto desiderio di capire quanto sono realistiche e cosa si può fare o non fare insieme per convivere con benevolenza e compassione. In ogni caso, a meno che non sia il tuo medico o simili, nessuno dovrebbe dare a un altro adulto consigli sulla salute.
Se ho completamente frainteso, ci sarà modo di ritornarci magari in uno degli incontri online.
Vorrei usare questa occasione per ringraziavi per i tanti auguri di metta che mi avete mandati.
Ci vediamo stasera!
Grazie Letizia per condividere il tempo con questa iniziativa. Sarò contento di esserci🙏 Un abbraccio 😊
Oh che bello, grazie!!! Proprio ieri pensavo -e poi condividevo con un’amica- come sia importante sentirsi protetti , in particolare per me con Sila 💖💖💖💖💖 (naturalmente, i rifugi 💎💎💎).
Scusate, avevo messo il diminutivo e non il nome completo
Grazie Letizia una bellissima iniziativa , ci sarò senz’altro , un grande abbraccio … a distanza 🙏🙂
A presto e stai bene Antonio