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5 indriya, discernimento, facoltà spirituali, retta concentrazione, retto sforzo, samadhi, samma vayama, sati
Ci sono cinque facoltà che, sostenute e coltivate, si fondono nel senza-morte, tendono al senza-morte, terminano nel senza-morte. … Sono le facoltà della fede, dell’energia, della presenza mentale, della concentrazione e del discernimento . Saṃyutta Nikāya 48.57
Audio (dal Lab online: 5 indriya ott. nov. 2020)
La facoltà della fede
La facoltà dell’energia
La facoltà della presenza mentale
La facoltà del samadhi
La facoltà del discernimento
Appunti e citazioni
Appamada (diligenza, cura o consapevolezza)
VEDI ANCHE nell’area dei COMMENTI la discussione fra i partecipanti al Lab online: 5 indriya ott.-nov. 2020
- SUL TEMA DEI CINQUE INDRIYA ASCOLTA ANCHE GLI AUDIO DEL RITIRO TARZO 2016
LA SIMILITUDINE DELLA MONTAGNA
A Savatthi.
Il re Pasenadi era seduto da un canto e il Buddha gli disse: “Dunque, grande re, da dove vieni nel bel mezzo della giornata?”
“Signore, ci sono re aristocratici con la passione per il potere, ossessionati dal desiderio di piaceri sensoriali. Hanno raggiunto stabilità nel paese, occupando un vasto territorio. Oggi sono stato impegnato a svolgere le mansioni che spettano a questi sovrani.”
“Che cosa pensi, grande re? Supponi che un uomo affidabile, degno di fiducia, venisse dall’est e si avvicinasse a te dicendo: ‘Signore, dovete essere messo al corrente di questo. Vengo dall’est. Laggiù ho visto una enorme montagna che toccava le nuvole. E stava muovendosi in questa direzione, schiacciando tutte le creature. Quindi, grande re, fate ciò che dovete fare!’
Se poi un secondo uomo degno di fiducia e affidabile venisse da ovest… un terzo da nord… un quarto da sud e si avvicinasse a te dicendo: ‘Signore, dovete essere messo al corrente di questo. Vengo da sud. Laggiù ho visto una enorme montagna che toccava le nuvole. E stava muovendosi in questa direzione, schiacciando tutte le creature. Quindi, grande re, fate ciò che dovete fare!’
Se dovesse sorgere una tale terribile minaccia – quella di una terribile perdita di vite umane, quando la vita umana è così rara – che cosa faresti?”
“Signore, cosa potrei fare se non praticare gli insegnamenti, praticare la moralità (sila) compiere azioni abili e buone?”
“Ti dico, grande re, ti annuncio: vecchiaia e morte stanno avanzando verso di te. Dato che vecchiaia e morte stanno avanzando verso di te, che cosa farai?”
“Signore, che cosa posso fare se non praticare gli insegnamenti, praticare la moralità, compiere azioni abili e buone?
Signore, ci sono re aristocratici con la passione per il potere, ossessionati dal desiderio di piaceri sensoriali. Hanno raggiunto stabilità nel paese, occupando un vasto territorio. Questi re si impegnano in battaglie con gli elefanti, la cavalleria, i carri, le truppe. Ma tali battaglie sono fuori luogo, non hanno senso quando vecchiaia e morte avanzano.
In questa corte reale ci sono ministri accorti, in grado di contrastare il nemico che avanza con i loro saggi consigli. Ma tali schermaglie diplomatiche sono fuori luogo, non hanno senso quando vecchiaia e morte avanzano.
In questa corte reale ci sono grandi quantità di monete e lingotti d’oro, immagazzinati in sotterranei e torri .Usando queste ricchezze possiamo comprare un nemico che avanza. Ma questi stratagemmi sono fuori luogo, non hanno senso quando vecchiaia e morte avanzano.
Quando vecchiaia e morte avanzano, cosa posso fare se non praticare gli insegnamenti, praticare la moralità, compiere azioni abili e buone?”
“E’ proprio vero, grande re! E’ proprio vero! Quando vecchiaia e morte avanzano, cosa puoi fare se non praticare gli insegnamenti, praticare la moralità, compiere azioni abili e buone?”
Questo è ciò che disse il Buddha. Quindi il Venerabile, il Maestro, continuò:
“Supponi che ci siano grandi montagne di solida roccia, che toccano il cielo
e si avvicinano da ogni lato
schiacciando tutto a destra e a manca.
In questo stesso modo vecchiaia e morte avanzano verso tutti gli esseri viventi – aristocratici, bramini, mercanti, operai, fuoricasta e spazzini. Non risparmiano nulla.
Schiacciano tutto sotto di sé.
Non c’è luogo in cui gli elefanti possano sostare, e neppure i carri o le truppe.Non possono essere sconfitte da schermaglie diplomatiche o mediante le ricchezze.
Ecco perché una persona avveduta,
vedendo ciò che è bene per sé
essendo saggia, riporrebbe fede
nel Buddha, nell’insegnamento,
e nel Sangha.
Chi vive secondo l’insegnamento
nel corpo, nella parola e nella mente,
è lodato in questa vita
e quando se ne diparte gioisce
in cielo.”
Non ho particolari questione da porre su questa parabola; vorrei sentire se è percepita potente anche da altri e se ci hanno pensato
Ciao a tutti e tutte.
Come ho detto quando Letizia ci ha annunciato questo px incontro in sua assenza, propongo tra gli argomenti una riflessione comune sulla parabola della Montagna, che sento come molto potente. Il testo in inglese si trova linkato all’interno di Appunti 2 ( quello sulla Fede)
Grazie Maria Silvia, mi sembra un’ottima proposta
Ciao a tutti. Questa sera ho l’incarico di aprire la stanza e gestire i microfoni. Qualcuno può suonare la campana di inizio e fine della meditazione silenziosa? Magari lo segnala qui? Maria Silvia ha già proposto un tema di condivisione e magari ne appariranno altri qui sul blog nel corso della giornata, così stasera quando ci troveremo potremo concordare rapidamente insieme la gestione dell’incontro. E se c’è bisogno della traduzione dall’inglese del sutta della montagna cui si riferisce Maria Silvia, diciamocelo 🙂 A più tardi
esiste un’app che si chiama Mindbell che suona una campana all’inizio e alla fine di una seduta di meditazione, di cui si può programmare la durata
Ciao, se vi va bene posso suonare io una campana ad inizio e fine della meditazione.
A presto
Ciao a voi tutte e tutti. Comincio questa condivisione con un piccolo aneddoto.
Qualche mese fa Marisa mi ha proposto di leggere insieme un testo di Chandra Candiani (L’amicizia senza amici). All’inizio Chandra racconta un episodio della vita di Mozart. “Quando aveva cinque o sei anni, il padre gli organizzò un concerto a cui sarebbe stato presente Haydn, o un altro celebre musicista del tempo. Alla fine del concerto il padre spinse il piccolo Wolfang verso Haydn, sussurrandogli: ‘chiedigli se gli è piaciuto’. Mozart si avvicinò ad Haydn, guardò in su e chiese: ‘Mi vuoi bene?’.
Avevo già letto questo testo diversi anni fa su Sati (la rivista dell’Ameco) e ne ricordavo vagamente il senso generale. Significativo è stato, questa volta, il “nuovo” incontro con “il piccolo Wolfang”. In mezzo ci sono stati i tanti incontri con tanha e con la sofferenza che a lei si accompagna; i tanti gesti di ri-lassamento, tanta compassione. Credo l’abbia detto Letizia: “si apprende solo se c’è vera compassione”.
Ricordo anche questo pensiero di Ippocrate: “prima di guarire qualcuno, chiedigli se è disposto a rinunciare alle cose che lo hanno fatto ammalare”. Si, è proprio il rinunciare, più e più volte, nella seduta come nella vita, a ciò che ri-conosciamo nocivo, per noi e per l’altro, che ci permette di iniziare a “guarire”. All’inizio non è un semplice “posare”, c’è bisogno di ritornarci su. Di comprendere “in che modo lo stai alimentando, di notare su cosa l’attenzione si stava fissando l’attimo prima di quando riconosci l’impedimento” (Letizia). Così noti i pensieri, le paure, i gesti, le parole dietro cui spunta il “mi vuoi bene?” del piccolo Wolgang. Ed è un comprendere compassionevole, che abbraccia, che genera disincanto e sostiene la rinuncia. Il citta, libero dall’impedimento, si sente più forte. Vale la pena continuare a lasciare andare.
Desiderio e scontento, lode e biasimo, piacere e dolore, guadagno e perdita…sono i dhamma mondani che ci fanno cattiva compagnia, che ci imprigionano e diventano i punti di vista, gli occhiali attraverso i quali vediamo il mondo. Con gli occhiali sul naso ci si sente in balia di ciò che viene dall’esterno (?), di ciò che sorge nella mente. Toglierli rivela l’incantamento, dà un senso di indipendenza, di interezza. E’ un posto buono in cui fermarsi. “Semplicemente fermarsi qui”. Non c’è più bisogno di parole, di investigare, la mente è unificata, forte e rilassata nella sua solitudine. L’acqua scorre, il citta “intuisce” che sta per aprirsi una perdita e ha già chiuso il passaggio. Questo è ciò che mi sembra più vicino al Samadhi.
Naturalmente altre volte risorge il vecchio punto di vista, ma ora ci credi di meno, si è relativizzato perché sai come sorge e sai che cessa. Non sono Io, non “sono fatta così”.
Quando inizio una seduta la percezione è di un corpo e di una mente frammentati: una sensazione spiacevole qui, un contatto fisico neutro là, un pensiero, un ricordo, una preoccupazione per qualcosa da fare…..Ma tutto scorre e ho imparato che se non afferro nulla, nulla si trattiene, tutto sorge e cessa. Un po’ alla volta tutto si ricompone in un insieme unitario. In questa unità c’è spazio per tutto e niente è in conflitto, ogni cosa viene accolta per ciò che è, per la sua natura, nella consapevolezza profonda dell’impermanenza. Ed è qui che sorge la gioia.
Stamattina durante una camminata ho percepito con chiarezza il tema della responsabilità. Responsabilità verso quello a cui volgo l’intenzione, quello che coltivo, di cui nutro il cuore…
Ogni tanto mi tornano in mente le parole luminosissime del Dalai Lama, il quale a un giornalista che gli domandava se davvero non nutrisse risentimento nei confronti dei cinesi aveva risposto qualcosa che suonava più o meno così: ” Hanno invaso la mia terra, devo permettergli di invadere la mia mente?”
E un’altra cosa: seguo spesso in questo periodo le meditazioni guidate di Analayo. Quella sulla morte, sul disfacimento del corpo mi era sempre sembrata appartenere a pratiche e tradizioni lontane. Ora non è più così,
L’invito a vivere questo respiro, proprio questo, sentendo che potrebbe essere l’ultimo e che, se anche non fosse l’ultimo è sicuramente un respiro di meno nel tempo che ci separa dalla morte, ecco tutto questo non è più né ansiogeno né lontano.
Risuona con forza e contiene in sé una domanda che riporta, con una circolarità che ci è cara nel Dhamma, alla responsabilità: A cosa dedicare i giorni che restano?
Ciao a tutte e tutti. I 3 commenti a cui mi riferisco nell’audio del 16 nov sono su questa pagina ovviamente, appena qui sotto (non sulla pagina del Laboratorio Mestre, come erronamente ho detto).
Qui i link agli articoli sui 4 jhana
https://letiziabaglioni.com/2017/04/27/i-quattro-jhana/
cerca anche tag: samadhi, samatha, 5 impedimenti
una buona traduzione della Similitudine della Cittadella (con la similitudine dei 4 tipi di provviste)
https://suttacentral.net/an7.67/en/sujato
Ho anche postato un audio sulla pagina che dovrebbe integrare il discorso su samma samadhi (retta concentrazione) nel buddhismo antico.
Oh, e a proposito di porte e cittadelle: la stanza zoom del Laboratorio resta aperta dopo le 18, quindi non c’è bisogno che mi scriviate per dire che arrivate tardi.
Ciao a tutti! Felice di ritrovarvi più tardi.
Tutte bellissime le similitudine che descrivono le diverse espressioni di sati.
Pensavo alla sentinella e a come descrive la caratteristica discernente che è fondamentale.
Soprattutto quando alcune definizioni general-generiche, spiegano sati-mindfulness come un “dare il benvenuto a qualsiasi cosa”.
Trovo che l’immagine della sentinella chiarisca in modo cristallino che si tratta piuttosto di riconoscere, e poi scegliere chi/cosa sostenere e coltivare. E penso a quanto abbiamo condiviso parlando di energia e di sforzo appropriato, e della possibilità di coltivare ciò che è salutare e abbandonare ciò che non lo è. Ogni cosa è così collegata e intrecciata. Sembra un merletto.
Sto percependo un grande beneficio dal praticare gli insegnamenti di questo laboratorio. Dopo poco appare una sensazione sgradevole legata al pensare che è una strada lunga e difficile e chissà se sarò in grado…. ecco che di soppiatto ha preso forma nella mente l’impedimento del dubbio! Ma è talmente volatile che è sufficiente riconoscerlo per quello che è perché si disgreghi e scompaia. Sento che toccare l’impedimento con occhio attento lo smaschera, perché è solo una maschera che in quel momento ho montato davanti al mio sguardo. Non ha nessuna consistenza reale, materiale. Tutto questo mi stupisce molto.
Inoltre mi aiuta, oltre alla metafora per sati della sentinella alle porte della città, l’immagine del pastore che osserva in modo rilassato e ampio gli animali al pascolo perché non c’è più pericolo che calpestino il raccolto. Questa qualità di osservazione rilassata e inclusiva, ampia, la trovo una chiave utile anche per abbandonare l’irrequietezza nella pratica. Grazie
Ciao a voi tutte e tutti. Il “compito” di questa settimana ci sollecita a prestare attenzione a sati, sia nella pratica che nello studio.
Vorrei condividere con voi due “equivoci”, nati dall’illusione di “dover fare o non dover fare qualcosa”.
Il primo equivoco riguarda il quinto precetto a cui in passato ho guardato con noncuranza, pensando che non “mi” riguardasse: “sono quasi astemia!, non mi drogo…”. Poi a poco a poco è entrata in circolo la seconda parte del precetto : “…che alterano la mente”. Eh si che mi riguarda! Gli impedimenti alterano la mente! Solo se sati è presente la mente è “sobria” e può ri-conoscere ”questo è tanha” oppure “ora non c’è avversione”. Riconoscere la presenza dell’impedimento, notarne il cambiamento genera energia per staccare la spina. Ad un certo punto, quando noti, più e più volte, che prima o poi, la mente è da un’altra parte, cominci a chiederti che senso abbia rimanere attaccata a qualcosa che comunque cambia e cessa. Riconoscere, in questo momento, l’assenza dell’impedimento genera gioia e rafforza la fiducia. E’ un circolo virtuoso questo tra le prime tre facoltà spirituali. Così ora per me il quinto precetto ha il sapore di un impegno in più alla presenza, ad astenermi dalla noncuranza rispetto a parole, pensieri, intenzioni, sensazioni.
Le sensazioni, vedana, la tonalità affettiva dell’esperienza (sia fisica che mentale) è l’oggetto della seconda riflessione che parte da un equivoco sul “contenimento dei sensi” (indriya samvara). All’inizio l’ho inteso nel senso di mortificazione dei sensi. Non guardare o distogliere lo sguardo da una vetrina o da un tramonto, non prendere ”di più” di un buon cibo, non… Tutto questo richiedeva uno sforzo non retto della volontà che assorbiva energia, produceva frustrazione e basta. Poi un ritiro e, doppiamente grazie a Letizia, l’incontro con Upasika Kee Nanayon (Puro e semplice). “Semplicemente fermarsi qui” è il suo invito. Fare attenzione a “come” guardiamo o ascoltiamo (parole e pensieri), fare attenzione alla risonanza affettiva del contatto alle sei porte sensoriali. Per questo per me è molto evocativa la similitudine in cui “ sati è simboleggiata dalla sentinella alle porte di una città” . Mi piace pensare che la città sia il binomio corpo-mente con le sue sei porte sensoriali. La sentinella sati, per svolgere la sua funzione protettiva, ha bisogno di esercitarsi a ri-conoscere la risonanza affettiva di ogni contatto. Per questo ho dedicato e continuo a dedicare tanta parte della pratica alla contemplazione delle sensazioni. E’ cruciale esercitare la vigilanza in questo senso, diventare sensibile ai segni (forse ognuno ha i propri) che rivelano : piacevole, spiacevole, neutro al fine di interrompere, prima possibile, la catena mi piace/lo voglio, non mi piace/voglio eliminarlo, lo ignoro. Senza questa vigilanza so che non posso cogliere il sorgere del desiderio/avidità, dell’avversione/odio, dell’ignoranza /illusione.
Un’ultima notazione riguarda lo “sguardo elefantino” di sati che simboleggia il “dare attenzione alla situazione del momento” non a caso sati si accompagna a sampajanna. In questa situazione qual è la mia ancora? Dove sono? Cosa sto facendo? E’ appropriato?
Grazie e a domani
Grazie Santa , il tuo commento coglie alcuni punti importanti sulla qualità di sati ed è un buon esempio di come si può usare il Laboratorio e gli spunti dei sutta per riflettere sulla propria pratica e sui propri schemi mentali.
Ciao a tutti/e! Mi sono resa conto che, nell’ultimo incontro dedicato a sati (presenza mentale) come facoltà spirituale, il mio commento sulla citazione dall’ Indriya-vibhanga Sutta (vedi pdf “Sati” su questa pagina) è stato in qualche modo limitativo, o forse impreciso.
Il testo dice, in riferimento al discepolo che ha consapevolezza e presenza mentale mature: “Capace di ricordare e riportare alla mente cose fatte e dette molto tempo fa” .
Nel mio discorso ho messo l’accento sulle “cose fatte e dette” da lui/lei, e sulle possibili implicazioni di questa ‘memoria’. Ma, in realtà, il testo pali non legittima una lettura riduttiva in questo senso, e quindi andrebbe interpretato in senso più ampio, includendo la memoria accurata di ciò di cui lui/lei è stato testimone.
Come sapete, la consapevolezza, secondo il satipatthana, si pratica tanto ‘internamente’, quanto ‘esternamente’.
A questo proposito, ricordo il commento di un insegnante di Dhamma di cui ero interprete durante un ritiro. Un partecipante chiedeva come fosse possibile nella traduzione consecutiva ‘tenere a mente’ dettagli e concetti di un lungo e complesso fraseggio senza prendere appunti, anche quelli che lui, che capiva bene l’ inglese , sembrava ‘dimenticare’ strada facendo. L’insegnante disse che era ‘questione di sati’. All’epoca il commento mi stupì, ma dopo considerai che, per poter fare bene il mio compito, dovevo essere ‘attenta’ e presente in un modo particolare al suo discorso, e non potevo permettermi ‘il lusso’ di focalizzarmi sulle mie associazioni o sensazioni o distrarmi per alcuni istanti come è normale che accada a un ascoltatore. In più, notai che se non ero rilassata o se la mente era assediata da uno dei cinque impedimenti, la mia capacità di offrire una buona traduzione consecutiva ne risentiva.
Ciao a tutte e tutti. In questa settimana di “ripasso” sulla facoltà spirituale dell’Energia ho praticato riflettendo sul quarto “movimento”: sostenere, mantenere, far crescere le qualità salutari già sorte.
Come? Cosa posso fare e/o faccio? Interrogandomi così ho riconosciuto quattro azioni nella pratica formale e informale:
– prendere quotidianamente i rifugi e così tenere a mente la possibilità di risveglio che è in ogni essere pensante, la realtà ultima di tutte le cose (aniccia, dukka, anatta), la forza ispiratrice dei nobili meditanti e degli insegnanti che praticano e trasmettono il Dhamma a beneficio di tutti gli esseri;
– rinnovare quotidianamente i cinque precetti per rafforzare l’intenzione di essere “in pace” con me stessa e con il mondo attraverso una condotta non nociva;
– rinnovare quotidianamente l’intenzione di lasciar inaridire le radici non salutari (odio , avidità, illusione) e suscitare e coltivare le radici salutari ( non-odio, non-avidità. non-illusione );
– accompagnarmi a buoni amici spirituali che sono i libri di Dharma, è l’insegnante, sono le relazioni spirituali che sono il terreno in cui esercitare il non attaccamento alle opinioni, la pazienza, la sincerità, l’onestà di riconoscere i propri ostacoli, l’autenticità, la fiducia, la non paura, la compassione, l’equanimità nel senso di essere presente per l’altro/a con il cuore aperto senza “distogliere lo sguardo”, senza indifferenza.
Grazie di tutto e buona pratica
Due brevi commenti nati dalla pratica di questa settimana.
Il primo riguarda l’effetto che ha in me il riconoscere lo stato della mente, o l’impedimento o la sensazione presenti. È come un tornare a disporre della piena energia che prima era imprigionata in uno schema mentale insano e senza sbocchi. Come una liberazione.
Il secondo riguarda il compito di accostarsi alle proprie tendenze mentali non salutari. Ho notato che dietro l’avversione, manifestata in me come rancore, c’era un modo di pensare orgoglioso ed egocentrico, che può essere reso con “io devo essere nei tuoi pensieri”.
Un caro saluto a tutti, con gratitudine.
Solo un breve nota, una condivisione che sorge dalle meditazioni di questa settimana centrate sulle sensazioni: più la presenza mentale realizza la loro incostanza più si smorza la fiducia nei loro confronti e cresce invece il sentimento di nibbida che riduce il loro potere. Così l’energia e la fiducia in ciò che è salutare si liberano.
Ho postato un pdf di appunti su Viriya come facoltà spirituale (che corrisponde a viriya come fattore del risveglio) e un audio di un vecchio discorso dove tratto l’aspetto del retto sforzo con particolare riferimento al gesto dell’ ‘abbandonare’ .
Spero vi aiuti a integrare quanto detto ieri sera.
Buona pratica!
Grazie Letizia e grazie a tutti per questo spazio di riflessione, studio e pratica.
Mi sono più volte trovata a riflettere nel corso della settimana sul tema della fede.
La mia attenzione è stata catturata dalla definizione della fede come punto cardine e forse dal fatto di trovarsi elencata come prima delle facoltà spirituali. Questo in verità mi ha portato a cercare la fede come punto di partenza del mio percorso.
Il mio vissuto non è infatti così lineare e consequenziale.
Comprendo come la sofferenza, lo sgomento per una vita che non si riconosce sincera possano portare un’esplorazione di spazi più profondi ma questa è già fede?
Sicuramente la sofferenza mi ha potato a farmi delle domande e a iniziare il viaggio. Ma questo è stato il punto di partenza non la destinazione. Mi vengono in mente i versi iniziali di una poesia di Mary Oliver dal titolo Il Viaggio che dice “Un giorno finalmente hai capito quel che dovevi fare e hai cominciato”. Percepisco l’intuizione di uno spazio più ampio o più profondo. Ma è già questa fede?
Poi, andando avanti nella settimana e nelle mie riflessioni, l’immagine del palo di fondazione mi ha aiutato a sentire la fede non tanto come qualcosa che deve arrivare prima in senso temporale, piuttosto come qualcosa che si piazza in profondità nel nostro cuore.
In questo senso la pratica mi ha fatto scoprire uno spazio non solo per pacificare la mente, ma soprattutto per entrare in contatto con una parte di me molto più profonda. Per questo spesso mi domando se sati, nella sua accezione del ricordare, in qualche modo si riferisca a ricordare/ avere accesso a delle facoltà che sono radicate e innate. Quindi forse mi sto domandando se sati può avere aiutato a incontrare la fede. Mi ricordo he una volta parlando degli insegnamenti Letizia ha detto di vederli come un puzzle e non importa da dove si inizia, piano piano l’immagine diventa chiara. Chissà se anche questo vale per le facoltà e tante altre liste che incontriamo negli insegnamenti.
Ricordo di avere ascoltato Sharon Salzberg parlare sul tema della fede e descriverlo come un innamoramento. Come qualcosa di cui non si può più fare a meno. Questo mi aiuta a fare pace con questa idea di non-consequenzialità che ho percepito, nel senso che forse sono partita dalla sofferenza e nel rivolgermi alla pratica c’è stata forse un’infatuazione, un’attrazione verso qualcosa che risuonava dentro di me. Mi sono abbandonata e mi sono innamorata. Così ho scoperto questo pilastro fondante su cui fare affidamento.
Buongiorno a tutti e ben ritrovati.
Riprendo il signicato del termine “fiducia” dalla Treccani: ” Atteggiamento verso altri o verso se stessi, che risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni,per cui si confida nelle altrui o proprie possibilita’ e che generalmente produce un sentimento di sicurezza e tranquillita’”.
Condivido un’ idea di fiducia che nasce e cresce con la pratica e che non origina da credenze o ideologie.
Nel mio caso specifico la spinta alla pratica ha come punto di forza l’aver provato, anche se per brevissimi momenti, quel cuore-citta aperto, ampio, spazioso che genera un grande sorriso interno che permette di lasciare spazio a tutto cio’ che accade bello o brutto che sia, internamente o esternamente. Da esso nasce la consapevolezza che le istruzioni del Buddha funzionano e che puo’ esistere una pace profonda dove si puo’ accogliere senza rancori, senza giudizi e senza volere.
Inoltre cominciare a capire cio’ che e’ salutare e fa stare bene indipendemente da cio’ che e’ ” giusto o ingiusto ” e capire cio’ che invece puo’ nuocere agli altri e a se stessi
permette anche di capire cosa e’ meglio fare o dire in tante situazioni della vita quotidiana per vivere al meglio. Se dobbiamo vivere con dukka che sia il meno possibile per tutti. E quindi buona pratica a tutti
Ciao a tutte e tutti e grazie a te Letizia per la generosità con cui metti a disposizione il tuo sapere e la tua pratica.
Vorrei condividere con voi una riflessione che parte da questa citazione che mi ha accompagnata in questa settimana : “Anche la fede, monaci, ha un presupposto (o una causa) e non manca di un presupposto. E qual è il presupposto della fede? La sofferenza (dukkha), bisognerebbe rispondere”.
Si, è la sofferenza che mette in moto la ricerca, nasce un ansioso senso di urgenza di trovare una via d’uscita da “tutto questo…”. La pratica ti dà momenti, più o meno lunghi, di serenità, credi che sia per sempre, non è così, continui a praticare, ti fidi dell’insegnante, ti fidi del Buddha, ma l’urgenza continua ad essere ansiosa. C’è la sensazione di dover fare qualcosa.
Ci sono le istruzioni. “Notare il cessare”, meditare a lungo sul respiro, sul suo sorgere, durare e cessare, meditare sul corpo dal punto di vista delle parti e degli elementi notando il loro modificarsi e riflettendo sul loro andare verso la disgregazione, incontrare attimi di intuizione della vacuità, suscitare e coltivare queste riflessioni anche fuori dal cuscino.
C’è paura. E c’è quell’urgenza che ora è più consapevole e c’è Sati che nutre la Fede e l’Energia per continuare a praticare. E finalmente fiorisce la Compassione: che io/tu, tutti gli esseri possiamo essere liberi dalla sofferenza, liberi dalla causa della sofferenza. E’ una specie di conversione. L’urgenza ora somiglia di più all’ardore della dedizione. La dedizione a ciò che sai. Sai che tutto ciò che sorge cessa, sai che il “tuo” corpo è “solo” pelle carne ossa, è “semplicemente” un aggregato di quattro elementi e dipende da innumerevoli condizioni. Non è “mio” è “vuoto”.
L’Io è una costruzione che ci sembra solida perché, nel nostro mondo occidentale, ha una forza culturale millenaria. Il Dhamma ha la forza umile dell’autenticità e dal “tutto questo…” fa fiorire la gioia come il loto dalla melma.
Certo la sofferenza si ripresenta perché siamo vivi e immersi in una rete di innumerevoli condizioni, ma con fiducia continuiamo ad “allenare i muscoli” e diveniamo più flessibili agli urti, più resilienti.
Grazie Santina per aver espresso così chiaramente quello che sentivo anch’io aprirsi dentro citta!
Queste condivisioni mi fanno crescere la fiducia nel Sangha e la gratitudine per la vostra generosità.
Grazie di avermi accolta!
Visto che abbiamo parlato di Anathapindika il benefattore (il soprannome significa ‘colui che sfama chi non ha protezione’ )… volevo darvi un’idea di come immagino il personaggio, con un equivalente contemporaneo
https://www.finedininglovers.it/articolo/world-central-kitchen-spagna
World Central Kitchen è un’organizzazione non governativa senza fini di lucro dedicata a fornire pasti a seguito di catastrofi naturali. Fondata nel 2010 dal famoso chef José Andrés, l’organizzazione ha preparato cibo ad Haiti in seguito al devastante terremoto… molto attivo durante la pandemia Covid in USA soprattutto per garantire pasti sicuri alle comunità più povere e agli anziani, il sig. Andres e la sua vasta rete di ristoranti solidali si sono attivati in questi giorni anche per distribuire pasti caldi agli americani che fanno la fila per votare (talvolta per più di 12 ore!).
In un’intervista il sig Andres dice con calore che loro non discriminano per le idee politiche, razza o religione, sono lì per alleviare il disagio delle persone, come possono, perché i più deboli non siano costretti a restare a casa e non votare … La generosità diventa un modo concreto di sostenere i diritti dei cittadini!
Si può essere scettici, a ragione, sulla salute della democrazia e sull’impatto del voto sugli equilibri di potere …. e pensare che i pasti caldi non fanno la differenza …. e che le catastrofi naturali o prodotte dall’uomo continueranno a mietere vittime … ma, come dicevamo, qual è l’alternativa?
L’orgoglio e l’impotenza sono due facce della stessa medaglia (la presunzione ‘io sono’, l’ignoranza e la brama, cioè i tre asava).
Apprezzare il bene fatto o fattibile, considerarlo attentamente e quotidianamente nei casi concreti vicini o lontani, ricordarlo e gioirne è la medicina anti-depressiva consigliata dal Buddha… e non ha effetti collaterali! In una mente indifferente o preoccupata di sé gli inquinanti crescono … come i germi in una stanza dove non si aprono mai le finestre …
Provo profonda gratitudine nei confronti di Letizia e di tutti i partecipanti al laboratorio per il bellissimo incontro di ieri. E’ stato fonte di forti emozioni nell’onda di samvega. Anch’io, come altri, sono stata riportata ai momenti iniziali della pratica, alla fiducia che consisteva più nella speranza di poter dare una risposta alle domande fondamentali dell’esistenza. La pratica del Dhamma non mi ha dato le risposte ma le ha rese superflue, grazie alla fiducia dell’esistenza di una via d’uscita, possibile anche se difficile da raggiungere, fiducia che si è consolidata giorno per giorno. E nei momenti difficili della pratica ho sempre avuto il richiamo del pensiero della mancanza di un’alternativa a cui accennava Letizia, mi bastava pensare a come sarebbe stata la mia vita senza praticare il Dhamma: sarebbe stata proprio come camminare in quel buio attraversato da Sudatta ma senza il conforto del richiamo del Buddha.
Durante la meditazione guidata ho ritrovato il buio e la paura delle montagne che si avvicinavano inesorabili, ma è bastato accogliere e abbracciare quella paura con fiducia per perdere il senso di frammentazione e ritrovare l’interezza, la serenità e perfino un leggero sorriso.
Diversi pensieri e riflessioni si stanno attivando in me grazie a questo percorso.
Il primo è legato alla fede che è per me un seme presente in ogni essere come potenzialità che richiede di abbinarsi ad un nutriente esterno che facilita e potenzia la possibilità del fiorire. In questo caso gli insegnamenti del Buddha, il suo aver indicato il sentiero.
La seconda riflessione è sul turbamento come motore di cambiamento (una turbina) la cui direzione deve essere impressa da una scelta cosciente: dove scelgo di incanalare le guide del risveglio. Posso mettere un’energia per uscire dal buio se da qualche parte in me c’è la speranza/certezza della luce (fede)
Terza considerazione attivata dalla meditazione delle montagne, mi è tornato in mente il film La storia infinita dove il nulla, che arrivava da tutte le direzioni, distruggeva il regno di Fantasia ma il protagonista non rinuncia ma cerca in tutti i modi la strada
Grazie
Salve,
ringraziando moltissimo per questa occasione di approfondimento, volevo porre una osservazione/domanda.
L’argomento è la specificazione della “fede” nell’ambito della disciplina del percorso e della volontà.
Posto il fatto, per me fondamentale, della fiducia profondissima nel sentiero che, come emerso ieri, è unico, indispensabile e veicolo di apertura spirituale, rimane a volte l’impressione di inciampare in una “disconnessione”, come un gradino troppo alto (o troppo basso, non è importante).
Questo avviene nei confronti dell’uso della volontà, di un’energia che sembra “non spontanea” ma necessaria nel momento in cui si presenta, ad esempio, un pensiero non salutare.
E’ come se la forza di reggere il turbamento della scossa emotiva si esaurisse rapidamente e a questo punto fosse necessario fare intervenire qualche cosa che è più forte ma al tempo stesso molto mentale.
La domanda quindi è: è giusto intendere la fede come base che, anche attraverso la volontà, può contribuire ad un “cambio di direzione” a volte anche forte e che sembra non sgorgare direttamente dal cuore?
E’ questa la forza/volontà che nasce dal discernimento?
Ancora grazie
Beatrice
Grazie Beatrice per la tua osservazione. Certo, nell’esperienza diretta uno osserva la differenza e la dinamica fra le diverse facoltà spirituali che piano piano vanno emergendo e delineandosi. E l’energia/volontà, come dici tu, è cosa diversa dalla fede, che è una base da cui poi la volontà può operare. Proprio come la fede, la volontà può essere più o meno equilibrata, diretta dalla saggezza o mescolata agli inquinanti, e si raffina con l’addestramento e la comprensione. E’ importante non giudicare o preoccuparti di ‘sbagliare’ nella pratica; fidati: se c’è qualcosa che può correggersi o maturare nell’uso della volontà (e in genere c’è! finché siamo in addestramento…) diventerà chiaro, se conservi gentilezza e curiosità nei confronti della tua esperienza, e continui a osservare con presenza mentale. Anche l’idea che lo sforzo debba essere sempre ‘spontaneo’ o ‘soffice’ o ‘autentico’ impedisce di apprendere dai fatti e dai risultati, e sentire cosa è buono o utile o possibile.
Nel prossimo incontro parleremo proprio dell’energia/volontà (retto sforzo) quindi mi fermo qui …
Ecco, ho postato sulla pagina un documento (Appunti 2) con i riferimenti testuali all’argomento di oggi (FEDE). Troverete anche la registrazione parziale dell’incontro al link indicato (manca la meditazione guidata, ma ho incluso il link alla Parabola della Montagna negli Appunti) Attendo vostri commenti e domande, a presto!
Grazie mille Letizia, esprimo una immensa gratitudine per questo laboratorio, sono contenta di poter partecipare e praticare con il sostegno e l’aiuto di tutto il materiale e degli insegnamenti, proprio dopo il ritiro di agosto.
Grazie a tutti. Milena
Buongiorno Letizia e tutti/e,
durante la settimana ho provato le meditazioni guidate di Bhikkhu Analayo e mi sono chiesta cosa c’entrassero con il tema del laboratorio; non riuscendo a trovare risposta, ho riascoltato con attenzione la registrazione del primo incontro (grazie Letizia, perché queste registrazioni sono preziosissime!) e ho, effettivamente, trovato quel che cercavo: la tecnica utilizzata non è così importante , o meglio, non è “specifica” per sviluppare le 5 facoltà, poiché queste si rafforzano proprio attraverso la pratica meditativa, qualunque essa sia, in un certo senso. Si tratta di osservare, anche nella nostra quotidianità, come si esprimono queste facoltà, come vengono coltivate attraverso la pratica. Spero di aver compreso correttamente.
A questo punto, ripensando al percorso fatto negli anni, mi è sembrato che alcune di queste facoltà che, se non sbaglio, appartengono a tutti gli esseri umani in modo più o meno evidente, nel loro sviluppo riducano spontaneamente alcuni inquinanti. Penso alla Fiducia, ad esempio, che quanto più si rafforza tanto più riduce il Dubbio (non il dubbio produttivo, scientifico, ma quello che associamo all’immagine del “deserto”) e l’Avversione, oppure l’Energia, che riduce o annulla l’Indolenza-Torpore, così la Presenza mentale il grande pilastro di tutta la pratica) può annullare l’Irrequietezza-Preoccupazione e il Desiderio sensoriale.
Credo che il Discernimento sia il risultato di tutta l’interazione tra le facoltà e forse per questo è indicato per ultimo. Non so se sto schematizzando, ma ho bisogno di mettere per iscritto e in un certo ordine quello che osservo e sperimento.
Ho anch’io trovato molto efficace l’analogia con la pratica in palestra, come ha detto qualcuno all’incontro, dove non necessariamente un esercizio mira a sviluppare solo un determinato muscolo, ma interessa anche muscoli apparentemente non coinvolti. Potremmo dire che le 5 facoltà sensoriali sono come “proprietà emergenti”, che si sviluppano come effetto collaterale della pratica.
È corretto?
Grazie mille! Roberta
Cara Roberta,
Concordo con molte cose che tu dici, ma ho dei dubbi sul fatto che le 5 facoltà si rafforzino attraverso qualunque pratica meditativa. Questo perché intravedo nelle istruzioni del Buddha un disegno organico, che si svolge passo dopo passo e ha come scopo finale la liberazione attraverso la progressiva comprensione delle caratteristiche fondamentali dell’esistenza. In questo disegno vedo l’originalità e la grandezza del Buddha. Non credo che tutte le meditazioni (per esempio quelle di Osho?) possano portare a risultati analoghi. Possono magari aiutare a ridurre certe forme di stress, senza peraltro arrivare a far toccare con mano la profondità del significato di dukkha. A mio parere, e per mia esperienza personale, le istruzioni del Satipatthna e dell’Anapanasati sono invece fondamentali per sviluppare le facoltà che ci permettono di progredire, nella meditazione….e nella vita. Perché la meditazione del Buddha è effettivamente una palestra per la vita e ha un grande potere trasformante.
Certamente, Sandra! Per brevità non ho specificato che funziona ogni tecnica che rientri in questo metodo, che appartenga cioè a questa Via, diciamo così. Almrno, così ho compreso.
Ciò che anche mi colpisce e trovo estremamente interessante è considerare le 5 facoltà “affidabili” , come se esistesse qualcosa, se pur sottoposto ugualmente all’impermanenza, connotato di una qualità che rasserena, anziché procurare dukkha.
“Potremmo dire che le 5 facoltà sensoriali sono come “proprietà emergenti”, che si sviluppano come effetto collaterale della pratica”
Mi piace il concetto di ‘proprietà emergenti’, Roberta, e credo sia appropriato in questo caso (immagino che tu intenda “facoltà spirituali” e che “sensoriali” sia un errore di battitura?)
Più che vedere il loro sviluppo come ‘effetto collaterale’ della pratica, però, mi sembra opportuno vederle, come ricordavo la prima sera, come un modo per rappresentare le forze che “fanno” la pratica corretta secondo i modi e i fini dell’ottuplice sentiero.
questa prospettiva è quella che appartiene, secondo i sutta, al sekha, cioè al discepolo dei nobili che è “in addestramento” (cioè ha conseguito la retta visione superando la prospettiva centrata sulla personalità). Ma un passo alla volta … a domani!
PS Il rapporto fra 5 facoltà e 5 impedimenti (riprendendo la tua osservazione che gli indriya contrastano specifici inquinanti) è istituito nei testi più tardi (commentari e Visuddhimagga) e per quanto ne so non è caratteristico dei sutta/agama (buddhismo antico).
Qui, come ricorderai dalle istruzioni satipatthana e anapanasati, il riferimento pratico per la coltivazione mentale o meditazione propriamente detta è invariabilmente lo schema dei 7 fattori del risveglio: per antonomasia, i “kusala dhamma” cioè le qualità salutari da coltivare sono i 7 fattori del risveglio (quelli da abbandonare o ‘affamare’ sono i cinque impedimenti).
Naturalmente, come già qualcuno notava la prima sera, ci sono delle sovrapposizioni fra gli elementi di questi modelli.
Aggiunta: l’accento nei sutta è sempre sulla sinergia di una molteplicità di fattori dinamici come condizione per un certo processo: gli inquinanti sono una rete connessa che viene alimentata o indebolita o stroncata nel suo insieme (a diversi livelli di profondità) grazie allo sviluppo mentale, morale, emotivo e all’esperienza del samadhi. Il discernimento/saggezza stronca tutto alla radice, la fede mette in moto la palla, per dir così.
Nei commentari e nell’Abhidamma, invece, c’è un interesse per le definizioni, per gli elenchi, per le analisi degli stati mentali visti come realtà definite e discrete e quindi per le corrispondenze e per il concetto di ‘antidoto’ (questo approccio domina ancora per lo più la pratica della meditazione oggidì). Nei sutta ci sono solo modelli o schemi integrati e un’idea del rapporto fra le parti; ciascun elemento è definito per lo più con formule stereotipate come aiuto mnemonico (sono solo appunti, poi ti devi arrangiare da te…)
In una bella e densa telefonata con Letizia, poco fa, ci siamo trovati a parlare di mappe, territori e cartelli che ci segnalano “esattamente” dove ci troviamo (uno di questi, nel Parco naturale a pochi passi da dove abito, riporta la utile frase “voi siete qui” come fumetto di un punto della carta: peccato che gli operai che hanno intsatllato il cartello lo abbiamo fatto nel punto sbagliato, cioè a circa 200 m. dall’incrocio di sentieri indicato!). Questa attenzione da applicare alle mappe o ai modelli mi ha riportato alla mente una brevissima poesia di Giorgio Caproni: ERRATA / non sei dove sai / CORRIGE./ non sai dove sei. Comunque, da buon ritardatario, sono felice di trovarmi qui (inteso come Laboratorio, 😁) con tutti voi.
Bene, ora che abbiamo attivato le notifiche qualcuno potrebbe anche postare un commento vero, no?
☺
Grazie Letizia, materiale molto utile
Un caloroso benvenuto a Boris in questo blog!