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Il blog di Letizia Baglioni

Archivi tag: volontà

Ritiro pasquale a Torino

24 martedì Feb 2015

Posted by Letizia Baglioni in Pratica buddhista

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Tag

karma, meditazione di consapevolezza, motivazione e intenzione, satipatthana sutta, vipassana, volontà

3 – 6 Aprile 2015
Oasi di Cavoretto – Torino
Ritiro residenziale

“IL POTERE DELL’INTENZIONE: CONSAPEVOLEZZA, KAMMA E LIBERTÀ NELLA VIA DEL BUDDHA”

ci sono ancora posti disponibili per questo ritiro residenziale  vi ricordiamo di perfezionare la vostra iscrizione entro  lunedì  2 marzo info RitiroPasqualeTorino

In questo ritiro cercheremo di mettere a fuoco alcuni aspetti chiave della meditazione di consapevolezza (o satipatthana) così come il Buddha stesso la delinea nel Satipatthana Sutta e in altri luoghi rilevanti del Canone pali. Nelle riflessioni serali e nella pratica formale seguiremo il filo degli insegnamenti circa l’aspetto attivo, volizionale, della mente, e su come “apprendere dall’esperienza” riconoscendo gli effetti sottili o più evidenti delle nostre intenzioni dentro e fuori di noi.

Il ritiro si rivolge prevalentemente a chi già pratica la meditazione di consapevolezza, ma è previsto uno spazio introduttivo per un certo numero di principanti (se è il vostro primo ritiro di vipassana segnalatelo nella mail di iscrizione).

Luogo: l’Oasi di Cavoretto, Strada di Santa Lucia 89/97. Un’antica villa immersa nel verde della collina di Cavoretto in comodato al Gruppo Abele, a circa 30 minuti dal centro di Torino.

scarica traduzione SATIPAṬṬHĀNA SUTTA Majjhima Nikāya 10

 

La chioccia

03 mercoledì Dic 2014

Posted by Letizia Baglioni in Sutta

≈ 2 commenti

Tag

cetana sutta, condizionalità, contingenza, dhammata, metafora, Nava Sutta, retta concentrazione, samadhi, Sutta, volontà

Immaginate una chioccia con otto … o dodici uova che ha ben covato, ben riscaldato, ben accudito. Anche se non desidera espressamente: “O, se i miei pulcini uscissero sani e salvi, rompendo il guscio con gli artigli e il becco!”, si dà il caso che i pulcini escano sani e salvi, rompendo il guscio con gli artigli e il becco. E perché? Ma perché la chioccia ha ben covato, ben riscaldato, ben accudito le sue otto … o dodici uova. (Saṃyutta Nikāya III 22 101)

Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i Discorsi del Buddha avrà incontrato una o più immagini che presentano i vari aspetti della pratica come artigianato del cuore, o come pulciniprocesso educativo, o come messa a frutto di risorse naturali, attraverso i sapienti, deliberati gesti di chi esercita un mestiere (dal macellaio, al tornitore, all’agricoltore, all’addestratore di elefanti, all’acrobata, all’orafo…). E avrà incontrato ripetuti accenni allo sforzo e alla determinazione necessari a contrastare l’inerzia della ‘materia grezza’ o le ‘abitudini selvatiche’ di un cuore non lavorato, non educato, che sembra produrre sofferenza anche contro le nostre migliori intenzioni. Se abbiamo provato a meditare, o comunque a gettare uno sguardo non superficiale o giudicante ai variegati moti del cuore che pretendiamo ‘nostro’, conosciamo lo stallone imbizzarrito, il puledro ombroso, il brocco sonnolento, la cavallina che prende la mano, il purosangue sussiegoso, il “cavallo stramazzato” del montaliano male di vivere. Conosciamo la inquietante sensazione di dualismo o straniamento, quel ‘io e la mia (?) mente’, a cui parla la metafora del rapporto con “l’animale”, sia esso il cavallo delle fonti pali o il bue delle “10 vignette” zen.

Però qui il praticante è l’animale. Una gallina, per la precisione, che divenuta chioccia esibisce la sua innata intelligenza facendo “bene” (il termine pali è sammā, lo stesso usato per i fattori del nobile ottuplice sentiero)(1) il suo mestiere di gallina. Il bhikkhu dedito alla coltivazione, alla bhavana, (2) con l’assidua, istintiva dedizione della chioccia che cova non ha bisogno di desiderare la liberazione, né di sorvegliare ansiosamente (narcisisticamente) i propri progressi: tutto avviene per naturale conseguenza, poiché vi sono le condizioni giuste. A parte la tenerezza e il lieve umorismo della chioccia sospirosa (soprattutto se immaginiamo i monaci cui il discorso originariamente si rivolge) mi colpisce il calore, la vividezza sensoriale dei pulcini che sgusciano sani e salvi rompendo il guscio con gli artigli e il becco. Li vediamo aggirarsi per l’aia pigolando, pronti a muoversi nel mondo oltre i confini della mente-chioccia.

Le cose nuove e vitali, e tenere e buone, e non ancora formate, vanno dapprima riscaldate e protette, perché la gestazione non è esente da rischi. La gallina distratta o incostante, che il Discorso evoca inizialmente, si augura un felice esito della cova, ma inutilmente: tanti sono i pericoli cui vanno incontro le uova trascurate (furto, rottura, predatori) che rischiano di marcire se il delicato processo di maturazione si interrompe. Addirittura, leggevo che una gallina d’allevamento in condizioni malsane può sviluppare l’abitudine di mangiare le proprie uova, distruggendo il potenziale pulcino. (3).

Il tema della “naturalezza” (dhammatā) dello sviluppo spirituale in quanto processo che segue la regola generale della contingenza o condizionalità (se c’è questo, quello viene in essere, se non c’è questo, quello non viene in essere o viene meno) attraversa come un fil rouge i Discorsi, introducendo un’altra prospettiva, più impersonale e distesa, meno volontaristica o tecnicistica, accanto (ma non contrapposta) alle metafore educative o artigianali. Penso ad esempio al Cetana Sutta dell’Aṅguttara Nikāya http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/an/an11/an11.002.than.html dove si osserva che una persona dotata di genuina integrità morale non ha bisogno della volontà per sentirsi in pace con la propria coscienza e quindi tendenzialmente fiduciosa; lo stesso concetto si ripete per una serie di fattori e stati mentali che si implicano e condizionano a vicenda, rendendo superfluo un “agente” esterno che imponga al processo una propria “agenda” o sentimenti come la speranza, l’aspettativa, il desiderio di diventare qualcosa. Dalla gioia, alla tranquillità fisica, all’agio, al raccoglimento (samādhi), al conoscere e vedere in accordo con i fatti (yathābhūtaṃ), la sequenza sfocia nella visione e conoscenza della liberazione, passando per la disillusione (nibbidā) e l’affievolirsi della reattività (virāga) rispetto a ogni tipo di esperienza sensoriale e costruzione mentale.

Notate che “è naturale che la mente di una persona a suo agio (sukha) si raccolga [e …] che una persona con una mente raccolta conosca e veda le cose così come sono”. Siamo lontani dallo sforzo velleitario e controllante che spesso connota l’idea di “concentrazione”. La chiave sembra essere una sensibilità seminale al buono, che frequentata, alimentata, custodita e incarnata nel quotidiano porta a scoprire e poi a ritrovare dentro di sé con sempre maggiore sicurezza il giusto nido per la cova.

Oltre alla similitudine della chioccia, il Discorso contiene altre due belle immagini dei risultati organici e graduali della coltivazione del sentiero: quella dell’ascia del falegname, il cui manico si consuma impercettibilmente con l’uso fino a mostrare l’impronta delle dita, e quella della barca in secca esposta alle intemperie, il cui sartiame si corrode facilmente. In questo caso l’accento è sull’esaurirsi o consumarsi dei condizionamenti profondi – asava o samyojana – che qualifica l’esperienza della liberazione.

Potete leggere il Nava Sutta nella trad. inglese di Bhikkhu Thanissaro su http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/sn/sn22/sn22.101.than.html  che riporta anche il link al testo pali (PTS SN III p. 153) che ho consultato per la mia citazione. Una traduzione italiana del  Samyutta Nikaya: Discorsi in gruppi, a cura di V. Talamo, è edita da Astrolabio, Roma 1998.

Note
(1) Il termine è tradotto spesso con “retto” , “appropriato”; in altri contesti ha il senso di “completo”, “integrale” oppure “opportuno”, nel senso che arriva al momento giusto o è adatto alla circostanza.

(2) Bhāvanā (dal verbo bhāveti, causativo di bhū = far essere, generare, produrre, coltivare, sviluppare) è il termine che designa la meditazione nel senso di dimorare su qualcosa, applicare il pensiero a qualcosa, coltivare una certa qualità o percezione, come p. es. la benevolenza, l’impermanenza o gli aspetti non attraenti del corpo. E’ anche un modo di parlare, in generale, della “pratica”: il sutta la presenta nel modo più inclusivo e analitico possibile elencando le 7 intestazioni – dai quattro fondamenti della presenza mentale (satipatthāna) al nobile ottuplice sentiero – sotto cui il Buddha espone gli elementi da coltivare, gli elementi costitutivi del risveglio. Vedi l’elenco dei 36 bodhipakkiyā http://www.accesstoinsight.org/index-subject.html#b

(3) www.biozootec.it/gallina_mangia_uovo.aspx

La foto dei pulcini è tratta dal sito http://www.lacasanettarina.it

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