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Il blog di Letizia Baglioni

Archivi tag: anupubbikatha

La buona fortuna

23 sabato Giu 2018

Posted by Letizia Baglioni in Sutta

≈ 4 commenti

Tag

anupubbikatha, Etica buddhista, mangala sutta

Traduco di seguito il famoso Maṅgalasutta Sutta Nipāta 2.4 (vedi anche  Khuddakapāṭha 5) Esistono numerose traduzioni in lingua inglese, alcune corredate da commenti, disponibili online VEDI QUI.  A parte le piccole differenze di resa o interpretazione, dovute anche al fatto che il testo pali è in versi ed è molto stringato, il senso generale è chiaro: l’approccio del Buddha alla buona sorte, alla prosperità e alla protezione non implica il ricorso a cerimonie, segni, formule, talismani, riti e benedizioni, ma è basato essenzialmente sull’impegno personale a vivere in modo tale da piantare i semi della reale prosperità.

Ho reso il testo in un linguaggio semplice e immediato che non richiede note o spiegazioni. Per cui ad esempio la devatā che interloquisce con il Buddha diventa una ‘dea’, anche se i deva del buddhismo non sono immortali e, per quanto a volte un po’ frivoli o vanesi, amano la virtù e hanno un carattere più benevolo degli dèi della mitologia classica o induista. Maṅgala sta per tutto ciò che è presagio di fortuna (cfr l’augurio o portento che è segno del favore degli dèi) o che ha il potere di impartire o propiziare fortuna, protezione o benessere (un esempio contemporaneo è il rito del matrimonio, religioso o laico; ma pensiamo al ruolo della benedizione paterna nell’Antico Testamento).

In fondo al post trovate un video dove Bhikkhu Bodhi offre un bel commento a questo insegnamento, sottolineandone il valore soprattutto per chi pratica il Dhamma nella vita laica. Il testo è organizzato secondo la logica dell'”esposizione graduale” (ānupubbīkathā)  VEDI POST PRECEDENTE

Nei paesi del sud-est asiatico dove prevale il buddhismo theravada anche i bambini lo imparano a scuola e sanno recitarlo. E’ incluso fra i canti di protezione (Paritta) che i monaci e monache eseguono a beneficio dei laici – ascoltate un bell’esempio in stile srilankese qui sotto:


HO UDITO che in una certa occasione il Beato viveva a Sāvatthī nella Selva di Jeta, il parco di Anāthapiṇḍika. Allora, nel cuor della notte, una dea di eccezionale bellezza che rischiarava l’intera Selva di Jeta con la sua luce si accostò al Beato. Dopo essersi accostata si inchinò al Beato e restò in piedi da un canto. Poi si rivolse al Beato parlando in versi:

Il pensier di quelle cose
Che propiziano l’agognata buona sorte
E’ caro a molti fra gli uomini e gli dèi.
Ti chiedo: quale benedizione reputi la migliore?

[Il Buddha:]

Non associarsi agli stolti
Ma associarsi ai saggi
E rendere onore a chi è dovuto:
E’ la benedizione migliore.

Vivere in luoghi adatti
Le buone azioni fatte in passato
Fare le giuste scelte:  
E’ la benedizione migliore.

Una buona istruzione e abilità pratiche  
Essere esperti nel proprio campo
Parlare con proprietà:
E’ la benedizione migliore.

Assistere madre e padre
Amare il coniuge e i figli
Un lavoro che non crea conflitto:
E’ la benedizione migliore.

Essere generosi e giusti
Aiutare i parenti
Comportarsi onestamente:
E’ la benedizione migliore.

Non fare mai del male
Mantenersi sobri
Prendersi cura della mente:
E’ la benedizione migliore.

Essere rispettosi e modesti
Sentirsi paghi e grati
Avere tempo per ascoltare il Dhamma:
E’ la benedizione migliore.

Essere pazienti e lasciarsi correggere
Incontrare veri contemplativi
Avere tempo per discutere il Dhamma:
E’ la benedizione migliore.

L’ardore e la rinuncia
Comprendere le nobili verità
L’esperienza  della liberazione:
E’ la benedizione migliore.

Un cuore che non è scosso
Dagli alti e bassi della vita
Sereno, terso, al sicuro:
E’ la benedizione migliore.

Poiché così facendo
Si va ovunque vittoriosi
Si va ovunque in sicurezza
Questa è la benedizione migliore.

Il lebbroso

11 lunedì Dic 2017

Posted by Letizia Baglioni in Sutta

≈ Commenti disabilitati su Il lebbroso

Tag

anupubbikatha, entrata nella corrente, esposizione graduale, sotapanna, Sutta

Traduco di seguito la prima parte del Suppabuddhakuṭṭhi Sutta (Udāna 5.3). Il brano dà esempio di uno stile di insegnamento del Buddha noto come “esposizione graduale” o “passo per passo” (ānupubbīkathā), la cui formula standard è incorniciata dalla storia commovente del protagonista Suppabuddha. Acquisire lo “sguardo del Dhamma” che coglie l’impermanenza e le sue implicazioni liberanti è un sinonimo di “entrata nella corrente”, il primo grado del risveglio, l’accesso al nobile ottuplice sentiero. Il paragrafo conclusivo è una pericope che spesso descrive il sotapanna e lo spostamento subitaneo di prospettiva provocato da un discorso del Buddha. Un buon commento moderno all’insegnamento graduale e alla logica che connette i vari passi della pratica lo trovate nel libretto di Achaan Sucitto, Kalyana, edito da Astrolabio.

Mi sono presa qualche piccola libertà con il testo per renderlo scorrevole e di immediata comprensione ma senza alterare o omettere nulla (p. es. rendo con “pane e companatico” un’espressione pali che designa cibi duri e soffici, oppure  gli alimenti base – immagino riso o simili  – e le pietanze, salse ecc. “Pane e minestra” , evocativo di una mensa dei poveri, sarebbe stato un altro modo per rendere bene l’equivoco dello speranzoso Supabuddha). Una versione inglese dell’intero testo, con link all’originale pali si può leggere QUI  

Ho udito che in una certa occasione il Beato dimorava presso Rājagaha nel Boschetto di Bambù, al Rifugio degli scoiattoli. A quel tempo viveva a Rājagaha un lebbroso di nome Suppabuddha, un pover’uomo che mendicava per vivere. Un giorno, il Beato stava insegnando il Dhamma circondato da un gran numero di persone.

Suppabuddha il lebbroso vide da lontano quella folla e pensò: “Senza dubbio qualcuno distribuisce pane e companatico laggiù. Magari mi unisco anch’io a quella folla, così rimedio qualcosa da mangiare”. Dunque si avvicinò, e vide il Beato che insegnava il Dhamma in mezzo a una grande assemblea. Vedendo questo pensò: “No, nessuno distribuisce pane e companatico qui. Quello è Gotama il contemplativo che insegna alla gente. E se ascoltassi il suo insegnamento?”. Perciò si mise seduto in un angolo pensando: “Anch’io voglio ascoltare il Dhamma”.

Allora il Beato, avendo abbracciato con la propria mente la mente dell’intera assemblea, si chiese: “Adesso, qui, chi è capace di comprendere il Dhamma?”. Vide Suppabuddha il lebbroso seduto in mezzo agli altri e nel vederlo pensò: “Questa persona è capace di comprendere il Dhamma”. Così, pensando a Suppabuddha il lebbroso, fece un’esposizione graduale, cioè un discorso sulla generosità, sulla virtù, sui mondi celesti, spiegò gli inconvenienti, la pochezza e la corruzione dei piaceri dei sensi e il vantaggio della rinuncia.

Poi, quando vide che la mente di Suppabuddha il lebbroso era pronta, duttile, sgombra, ispirata e pura, espose l’insegnamento caratteristico dei risvegliati, cioè: la sofferenza, l’origine, la cessazione e il sentiero. E come una stoffa pulita e senza macchie assorbe il colore, allo stesso modo a Suppabuddha il lebbroso,  seduta stante, si dischiuse lo sguardo del Dhamma, chiaro e limpido: “Tutto ciò che sorge, cessa”.

Avendo visto il Dhamma, raggiunto il Dhamma, conosciuto il Dhamma, preso possesso del Dhamma, essendo andato oltre il dubbio superando la perplessità e divenuto intrepido e autonomo per quel che concerne il messaggio del maestro, Suppabuddha si alzò dal suo posto e si accostò al Beato. Dopo averlo salutato rispettosamente si sedette da un canto e stando seduto lì gli si rivolse dicendo: “Splendido, signore! Splendido! Come se avesse raddrizzato una cosa capovolta, rivelato un nascondiglio, mostrato la via a chi si è perso, portato una lampada nel buio perché chi ha occhi per vedere veda – allo stesso modo il Beato, con diversi argomenti, mi ha chiarito il Dhamma. Prendo rifugio nel Beato, nell’insegnamento e nella comunità dei monaci. Che il Beato mi ricordi come un discepolo laico che da questo momento ha preso rifugio in lui finché avrà vita”.

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