Nei due post precedenti con lo stesso titolo Clima: meditare e agireClima: meditare e agire (2) ho condiviso la prospettiva di autorevoli voci del mondo buddhista che richiamano l’attenzione sul tema della crisi climatica ed ecologica e suggeriscono che, lungi dall’essere due vocazioni contrapposte, la coltivazione della mente può aiutare a rispondere in modo più maturo all’immane impatto emotivo, materiale e sociale che consegue alla crisi e circolarmente la alimenta. Avevo anche fornito alcuni riferimenti per informarsi sul tema.
Nel frattempo, il Covid19 e tutto ciò che comporta sul piano sociale, politico e psicologico è salito alla ribalta, e nell’immaginario della maggioranza delle persone e dei governi questo è uno shock globale a cui fare fronte in attesa di tornare al ‘business as usual’, oppure una piaga d’Egitto che fa da spartiacque fra un prima e un dopo. Ci sono poi le varie ‘teorie del complotto’. Ma c’è un’altra prospettiva, più accorta, secondo cui questo fenomeno, così come le migrazioni di massa e altri aspetti inquietanti dell’attualità che catalizzano l’attenzione collettiva, è in continuità con il ‘normale’ ma catastrofico trend imposto al pianeta dalle scelte dissennate dell’1 per cento della popolazione umana ‘privilegiata’, più forte economicamente, tecnologicamente o militarmente. E le politiche neocapitaliste, neocolonialiste e razziste di sfruttamento delle risorse a puri fini di lucro, spesso ai danni dei popoli indigeni più legati alla Terra, sono in primo piano. Il nostro stile di vita e di consumi è direttamente o indirettamente legato a quelle scelte.
Questa è la prospettiva della stragrande maggioranza degli studiosi seri e dei cittadini impegnati fin dagli anni ’70 a investigare i danni, analizzare le conseguenze e produrre anticipazioni statistiche di ciò che ora vediamo accadere o paventiamo per le prossime generazioni. Ma non abbiamo invertito la rotta, anzi. Nel report pubblicato il 6 luglio scorso le Nazioni Unite hanno inserito l’allevamento intensivo tra i fattori di rischio che provocano l’insorgenza di pandemie (oltre all’impatto ambientale già noto). Nel caso specifico del Covid 19, una riprova recente è il caso dei visoni danesi e italiani .
Ma non è compito di questo blog riverberare fatti di cronaca, report scientifici o denunce animaliste. Con questo post vorrei fare un altro piccolo passo rispetto ai due precedenti, proponendovi due video. Vi invito a guardarli e ascoltarli con calma (nell’ordine che preferite) non solo come fonte di informazione ma come pratica di consapevolezza, stabilendo sati ricettiva verso l’esterno, come pure verso l’interno. Li condivido come parte della ricerca e dell’impegno che affianco alla meditazione.
PARTE 1: Una spiegazione della crisi climatica ed ecologica senza giri di parole, riportando la voce inascoltata della comunità scientifica. A cura del Prof. Francesco Gonella, docente di Fisica e Sostenibilità presso l’università Ca’ Foscari di Venezia e attivista di Extinction Rebellion.
Questi scenari sono così terribili che si preferirebbe non pensarci. Tuttavia evitare di pensarci è un fattore che contribuisce alla crisi attuale. È necessario uno strumento per contrastare sia questa forma di fuga sia la resa allo “stress da catastrofe”, che tende a impedire una azione significativa.
Immagina che un uomo serio e affidabile ti dicesse: ‘Vengo dall’est. Ho visto una grande montagna, alta come le nubi, che sta arrivando qui schiacciando gli esseri viventi sul suo cammino. Fai quel che devi.’ E che dall’ovest, dal nord, dal sud ne arrivassero altri a dirti la stessa cosa. Di fronte a un così grande pericolo, a una minaccia per l’esistenza umana, che è così difficile da ottenersi, cosa faresti? SN 3.25
Il testo si riferisce all’inevitabilità della vecchiaia e della morte, e alla risposta etica e spirituale che può scaturire da questa consapevolezza. Ma l’avanzata delle montagne su cui ‘uomini seri e affidabili’ da tutte le parti richiamano l’attenzione del re (dei governi) e di noi tutti è di portata globale. Accettereste un omicidio, un suicidio o un genocidio come naturale manifestazione dell’impermanenza? Il Buddha non ci invita al fatalismo o al conformismo ma ad andare controcorrente rispetto alle forze dell’avidità, dell’avversione e dell’illusione, che sono dentro e fuori di noi. La sua era una comunità “ribelle” di individui autodisciplinati che interagivano con la società, incoraggiando certi valori e scoraggiandone altri con le proprie scelte e il proprio comportamento, non un gruppo autoreferenziale o una setta di predicatori.
Frugalità, umiltà ed empatia possono ispirare un nuovo stile di vita e nuovi modelli di relazione e di sviluppo, gli esempi virtuosi sono ovunque. Ma per migliaia di persone in tutto il mondo la risposta individuale non basta più e l’attivismo tradizionale serve solo a ridurre il senso di colpa incolpando altri (cosa che a me non è mai minimamente interessato fare). Il futuro è qui. Non è rassicurante. Nessuno ha la ricetta. Ma incontrarlo con gli occhi aperti e un cuore solidale e creativo si può.
Non guardare le notizie, sii la notizia!
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Come sempre, se avete reazioni, riflessioni o domande riguardo all’articolo, ai video o alla pratica di consapevolezza, apprezzo che vengano condivise o indirizzate a me tramite l’area dei Commenti su questa pagina.
La disfatta di Mara – Butkara I-II sec. d.C. – MAO Torino
In questo post raccolgo alcuni materiali audio tratti dal Laboratorio Mestre 2017-18, un ciclo di incontri di studio e pratica del Dhamma dedicato alle 10 virtù o ‘perfezioni’ (pāramī): Generosità — Dāna; Moralità — Sīla; Rinuncia — Nekkhamma; Discernimento o Saggezza – Paññā; Energia —Viriya; Pazienza — Khanti; Onestà — Sacca; Determinazione o Risoluzione — Adhiṭṭhāna; Benevolenza — Mettā; Equanimità — Upekkhā.
Pur essendo un insegnamento più tardo, collegato ai racconti edificanti sulle vite precedenti di Gotama (Jātaka), il valore attribuito a queste qualità nel sostenere il cammino contemplativo e generare effetti positivi per se stessi e per gli altri è già implicito negli strati più antichi dei testi canonici buddhisti. Tradizionalmente, la forza interiore e la fiducia sviluppate nel corso di innumerevoli esistenze attraverso scelte e comportamenti che trascendono la logica egocentrica e le abitudini centrate su avidità, avversione e illusione permisero al futuro Buddha di intraprendere con successo il cammino del risveglio e vincere le forze di Māra nell’ultimo confronto alla vigilia della sua liberazione.
Le riflessioni offerte nel corso del laboratorio, rivolto prevalentemente a persone che praticano la meditazione nell’ambito dell’ottuplice sentiero, erano intese come spunti per utilizzare lo schema delle 10 pāramī come un modello integrato per orientare la mente e le intenzioni nel vivo delle attività, delle scelte e dei rapporti quotidiani, come pure nella pratica meditativa: ogni situazione e ogni avversità diventano occasione per sviluppare il potenziale positivo del cuore e indebolire le tendenze reattive non salutari.
Troverete che sottolineo la sinergia fra le pāramī e che le tratto prevalentemente a coppie, e che alla perfezione della ‘saggezza’ o discernimento riservo un posto speciale nella comprensione di ciascuna e dell’intero processo, invece che una trattazione a parte. A volte presento idee che potrebbero non coincidere con l’insegnamento del buddhismo theravada (perché rispecchiano la prospettiva dei sutta o discorsi antichi, o perché nascono da miei interessi od osservazioni personali). Spero che le mie imprecisioni confusioni o divagazioni vi incoraggino a cercare chiarimento e certezza nella vostra diretta esperienza.
Lo scopo di questo post è incoraggiare la riflessione e la pratica personale delle virtù come fonte di fiducia interiore, base indispensabile per lo sviluppo della meditazione e della saggezza negli insegnamenti buddhisti. Dopo l’ascolto, proponetevi di applicare creativamente e per un certo periodo di tempo una o più di queste potenti intenzioni/motivazioni (quel poco o tanto che capite, che vi sembra sensato o possibile) nelle vostre giornate e in circostanze concrete, dandovi il tempo di osservare e apprendere come e dove migliora la vostra vita e quella degli altri intorno a voi. Qui sotto trovate anche il pdf e l’audio del canto tradizionale, per chi volesse cimentarsi rallegrando e concentrando la mente mentre memorizza l’elenco delle dieci pāramī.
Per chi è relativamente nuovo agli insegnamenti del buddhismo antico e cerca un punto di partenza, un utile complemento a questo post è il seminario online Le fonti della gioia (vedi la Scheda del seminario). Le riflessioni presentate sono organizzate secondo la logica dell'”esposizione graduale” del Buddha, e mettono in particolare risalto almeno tre delle qualità menzionate nell’elenco delle pāramī: generosità, moralità, rinuncia. Questo è lo stile di insegnamento che il Buddha applicava talvolta allo scopo di preparare gli ascoltatori al ‘salto’ o spostamento di prospettiva delle quattro nobili verità (la sofferenza, la sua origine, la cessazione e il sentiero, il quale include la corretta pratica della meditazione in termini di presenza mentale, quiete e investigazione).
Traduco di seguito il Samaṇamaṇḍikāputta Sutta, Majjhima Nikāya 78. In questo discorso il Buddha chiarisce a un suo discepolo, il carpentiere Pancakaṅga, in cosa consiste la realizzazione spirituale secondo il suo insegnamento, mettendola a confronto con un percorso di semplice innocenza morale proposto da un asceta di un’altra scuola filosofica. Il punto centrale è che un discepolo del Buddha comprende e realizza direttamente cosa sono il bene e il male come stati della mente e della volontà, da cosa sorgono, come cessano e come si pratica per la loro cessazione. Quando il processo è visto in termini di cause e condizioni che possono cambiare e cessare, piuttosto che in termini di “io e mio”, l’identità costruita sugli schemi e le abitudini sane o malsane e sui loro effetti viene a cessare, e con essa ogni conflitto e ogni motivazione o desiderio di futura esistenza o di ‘nascere’ come questo o quello. Ecco perché, nel brano seguente, si parla di ‘cessazione’ anche delle intenzioni moralmente appropriate, nel momento in cui non vi è più bisogno di sostenerle con la volontà. Nelle note aggiungo rinvii ad altri testi o materiali pubblicati su questo blog che possono aiutare a chiarire o mettere in contesto i fattori del sentiero evidenziati in questo sutta. Il riferimento a un ‘monaco’ (bhikkhu) è da intendersi qui non come specifico, ma come indicativo di un/una praticante in addestramento.
Così ho udito. Una volta il Buddha risiedeva presso Sāvatthī nel Boschetto di Jeta, il monastero di Anāthapiṇḍika. A quel tempo, l’asceta itinerante Uggāhamāna figlio di Samaṇamuṇḍikā stava con circa trecento seguaci nel parco di Mallikā, il padiglione per i dibattiti circondato da alberi di ebano. Ordunque, il carpentiere Pañcakaṅga partì da Sāvatthī in tarda mattinata per incontrare il Buddha. Ma poi pensò: “Non è il momento di visitare il Buddha, perché è in ritiro. E non è il momento di visitare i suoi stimati monaci, perché anche loro sono in ritiro. E se andassi al parco di Mallikā a trovare l’asceta Uggāhamāna?” E così fece.
In quel momento Uggāhamāna sedeva con un folto gruppo di asceti che discutevano ad alta voce, facendo un gran chiasso. E parlavano di argomenti triviali come: re, banditi e ministri, eserciti, pericoli e battaglie, cibi, bevande, abiti, letti, fiori, ghirlande e profumi; parlavano di parenti, veicoli, villaggi, città e province, donne ed eroi, pettegolezzi in piazza e alla fontana; parlavano di defunti, del più e del meno, di terra e di mare, di esistenza e non esistenza. [1] Uggāhamāna vide da lontano il carpentiere Pancakaṅga e invitò tutti a fare silenzio, dicendo: “Zitti, non fate chiasso; quello che arriva è un discepolo del monaco Gotama, il carpentiere Pancakaṅga. E’ uno di quei laici vestiti di bianco, uno di quei seguaci del monaco Gotama che risiedono nella città di Sāvatthī. Questi signori amano la quiete, si addestrano alla quiete, lodano la quiete. Perciò, se vede che il nostro gruppo non fa chiasso potrebbe decidere di avvicinarsi”. A quelle parole, gli asceti fecero silenzio.
Pancakaṅga il carpentiere si avvicinò a Uggāhamāna e scambiò con lui i saluti. Terminati i cordiali convenevoli, si sedette da un canto. Poi Uggāhamāna si rivolse a Pancakaṅga il carpentiere, che era seduto da un canto, dicendo: “Io, carpentiere, sostengo che una persona dotata di quattro qualità è un asceta invincibile, esperto nel bene [kusalaṃ], eccellente nel bene, che ha conseguito la massima realizzazione. E quali quattro? Ecco, carpentiere: non compie azioni nocive col corpo, non dice parole nocive, non ha intenzioni nocive, non si mantiene con mezzi nocivi. Io sostengo che una persona dotata di queste quattro qualità è un asceta invincibile, esperto nel bene, eccellente nel bene, che ha conseguito la massima realizzazione”. Ma il falegname Pancakaṅga non approvò le parole di Uggāhamāna, né le disapprovò. Senza approvare o disapprovare, si alzò e se ne andò, pensando: “Me le farò spiegare dal Maestro”.
Così Pancakaṅga si recò dal Maestro. Gli si accostò, lo salutò rispettosamente e si sedette da un canto. Dopodiché, ripeté al Maestro la conversazione avuta con Uggāhamāna. Il Maestro rispose a Pancakaṅga: “Se fosse così, carpentiere, un bambinetto in fasce sarebbe un asceta invincibile esperto nel bene, eccellente nel bene, che ha conseguito la massima realizzazione. Perché un bambinetto in fasce non pensa neppure in termini di ‘corpo’: come potrebbe compiere azioni nocive col corpo, tranne tirare qualche calcetto? Un bambinetto in fasce non pensa neppure in termini di ‘parola’: come potrebbe dire parole nocive, tranne piangere un po’? Un bambinetto in fasce non pensa neppure in termini di ‘intenzione’: come potrebbe avere intenzioni nocive, tranne agitarsi un po’? Un bambinetto in fasce, carpentiere, non pensa neppure in termini di ‘mezzi di sussistenza’: come si manterrebbe con mezzi nocivi, tranne succhiare il latte? Dunque, stando alle parole di Uggāhamāna, un bambinetto in fasce è esperto nel bene, eccellente nel bene, un asceta invincibile che ha conseguito la massima realizzazione. Ma io, carpentiere, una persona che ha quattro qualità – cioè che non compie azioni nocive col corpo, non dice parole nocive, non ha intenzioni nocive, non si mantiene con mezzi nocivi – non la considero esperta nel bene o eccellente nel bene, un asceta invincibile che ha conseguito la massima realizzazione; dico che è sullo stesso piano di un bambinetto in fasce.
Io, carpentiere, dico che una persona dotata di dieci qualità è esperto nel bene, eccellente nel bene, un asceta invincibile che ha conseguito la massima realizzazione. Dico che vi sono cose che vanno comprese. E cioè: “Questi sono comportamenti non salutari”; “I comportamenti non salutari hanno origine qui”; “Qui cessano completamente i comportamenti non salutari”; “Chi pratica così, pratica per la cessazione dei comportamenti non salutari”. E inoltre: “Questi sono comportamenti salutari”; “I comportamenti salutari hanno origine qui”; “Qui cessano completamente i comportamenti salutari”; “Chi pratica così, pratica per la cessazione dei comportamenti salutari”. E inoltre: “Queste sono intenzioni (sankappa) non salutari”; “Le intenzioni non salutari hanno origine qui”; “Qui cessano completamente le intenzioni non salutari”; “Chi pratica così pratica per la cessazione delle intenzioni non salutari”. E inoltre: “Queste sono intenzioni salutari”; “Le intenzioni salutari hanno origine qui”; “Qui cessano completamente le intenzioni salutari”; “Chi pratica così pratica per la cessazione delle intenzioni salutari”.
E cosa sono, carpentiere, i comportamenti non salutari (akusalā sīlā)? Sono le azioni non salutari compiute con il corpo e la parola, e il mantenersi con mezzi scorretti. E dove hanno origine i comportamenti non salutari? Ho parlato anche della loro origine: e la risposta è che hanno origine nella mente. Quale mente? Perché la mente è multiforme, variegata e sempre diversa. La mente con avidità, odio e illusione (sarāgaṃ sadosaṃ samohaṃ): qui hanno origine i comportamenti non salutari. E dove cessano completamente i comportamenti non salutari? Anche della loro cessazione ho parlato. E cioè: un monaco abbandona un comportamento nocivo con il corpo, la parola e la mente, e adotta un buon comportamento con il corpo, la parola e la mente; non si mantiene con mezzi scorretti e adotta mezzi di sussistenza corretti. È qui che i comportamenti non salutari cessano completamente. [2]
E in che modo pratica chi pratica per la cessazione dei comportamenti non salutari? Ecco: suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di prevenire il sorgere di qualità dannose e non salutari non ancora sorte. Suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di abbandonare le qualità dannose e non salutari che siano sorte. Suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di far sorgere qualità salutari non ancora sorte. Suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di mantenere, chiarificare, far crescere, arricchire, maturare e perfezionare le qualità salutari già sorte. Praticando così, pratica per la cessazione dei comportamenti non salutari. [3]
E cosa sono, carpentiere, i comportamenti salutari (kusalā sīlā)? Sono le azioni salutari compiute con il corpo e la parola e mantenersi con mezzi corretti. E dove hanno origine i comportamenti salutari? Ho parlato anche della loro origine: e bisogna rispondere che hanno origine nella mente. Quale mente? Perché la mente è multiforme, variegata e sempre diversa. La mente che è priva di avidità, odio e illusione (vītarāgaṃ vītadosaṃ vītamohaṃ): qui hanno origine i comportamenti salutari. E dove cessano completamente i comportamenti salutari? Anche della loro cessazione ho parlato. E cioè: un monaco è virtuoso, ma non si identifica con la virtù [no ca sīlamayo] e conosce per esperienza diretta la liberazione del cuore e la liberazione data dal discernimento dove i comportamenti salutari cessano senza lasciare traccia.
E in che modo pratica chi pratica per la cessazione dei comportamenti salutari? Ecco: suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di prevenire il sorgere di qualità dannose e non salutari non ancora sorte. Suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di abbandonare le qualità dannose e non salutari che siano sorte. Suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di far sorgere qualità salutari non ancora sorte. Suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di mantenere, chiarificare, far crescere, arricchire, maturare e perfezionare le qualità salutari già sorte. Praticando così, pratica per la cessazione dei comportamenti salutari.
“E quali sono le intenzioni non salutari? Le intenzioni sensuali, ostili o aggressive. E dove hanno origine le intenzioni non salutari? Ho parlato anche della loro origine. E alla domanda si deve rispondere che sorgono dalla percezione. Ma quale percezione? Perché la percezione è molteplice, varia, diversificata. Le intenzioni non salutari sorgono da percezioni connesse al piacere dei sensi, alla resistenza [o avversione] e all’aggressività. E dove cessano completamente le intenzioni non salutari? Ho parlato anche della loro cessazione. E’ il caso in cui un monaco, separato dagli stimoli sensoriali e separato dagli stati mentali non salutari, entra e permane nel primo livello di quiete meditativa [jhāna] che si associa all’applicazione iniziale e sostenuta: gioia e piacere nati dalla separazione. È qui che le intenzioni non salutari cessano completamente. E in che modo pratica uno che pratica per la cessazione delle intenzioni non salutari? Ecco: suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di prevenire il sorgere di qualità dannose e non salutari non ancora sorte. Suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di abbandonare le qualità dannose e non salutari che siano sorte. Suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di far sorgere qualità salutari non ancora sorte. Suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di mantenere, chiarificare, far crescere, arricchire, maturare e perfezionare le qualità salutari già sorte. Praticando così, pratica per la cessazione delle intenzioni non salutari.
E quali sono le intenzioni salutari? La rinuncia, la benevolenza e la compassione. [4] E dove hanno origine le intenzioni salutari? Ho parlato anche della loro origine: e la risposta è che sorgono dalla percezione. Ma quale percezione? Perché la percezione è molteplice, varia, diversificata. Le intenzioni salutari emergono da percezioni connesse all’appagamento, alla non-avversione, alla non-violenza. E dove cessano completamente le intenzioni salutari? Ho parlato anche della loro cessazione. E’ il caso in cui un monaco, rilassando l’applicazione iniziale e sostenuta, entra e permane nel secondo livello di quiete meditativa che è privo di applicazione iniziale e sostenuta: una mente concentrata e internamente fiduciosa, gioia e piacere nati dall’unificazione. È qui che le intenzioni salutari cessano completamente. E in che modo pratica uno che pratica per la cessazione delle intenzioni salutari? Ecco: suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di prevenire il sorgere di qualità dannose e non salutari non ancora sorte. Suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di abbandonare le qualità dannose e non salutari che siano sorte. Suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di far sorgere qualità salutari non ancora sorte. Suscita il desiderio, si applica, attiva l’energia, esercita la volontà e si impegna al fine di mantenere, chiarificare, far crescere, arricchire, maturare e perfezionare qualità salutari già sorte. Praticando così, pratica per la cessazione delle intenzioni salutari. [5]
[Segue l’esposizione dei 10 fattori del sentiero di cui è dotato un asekhā cioè qualcuno che ha completato l’addestramento – un arahant: sono gli 8 fattori standard del sentiero più la retta conoscenza e la retta liberazione. Per il brano completo cfr trad. Sujato https://suttacentral.net/mn78/en/sujato ].
Questo disse il Maestro. Soddisfatto, Pancakaṅga il carpentiere apprezzò le parole del Maestro.
NOTE
[1] Sulla ‘parola futile’ e le altre forme di parola retta e non retta vedi QUI Il documento contiene anche una tipica presentazione dei cinque precetti etici per i laici buddhisti.
[2] Per una esposizione delle 10 condotte morali e immorali vedi Majjhima Nikāya 41 Sāleyyaka Sutta trad. it. Una tipica definizione dei modi scorretti di guadagnarsi da vivere per un praticante laico (indicativa, non certamente esaustiva) include cinque forme di commercio: armi, esseri umani, animali da macello, liquori, veleni (p. es AN 5.177; vedi QUI anche sui mezzi di sussistenza scorretti per un monaco mendicante. Il concetto di “mezzi di sussistenza appropriati” ha ispirato direttamente o indirettamente il dibattito, gli studi e molte interessanti iniziative intorno all’etica del lavoro e dei modi di produzione nel mondo contemporaneo, e sull’importanza di questo fattore per il benessere dell’individuo, della società e dell’ambiente (a cominciare dall’ormai classico saggio di Schumacher Piccolo è bello ; vedi anche il sito https://www.rightlivelihoodaward.org/)
[3] Sul retto sforzo (sammā vayāma ) come fattore del sentiero, qui esposto secondo la classica formula quadruplice, vedi Laboratorio Mestre 2017-18 e relativi file AUDIO
[4] Sulle rette motivazioni o intenzioni (sammā saṅkappā) come fattore del sentiero e sui diversi modi di rendere il termine saṅkappā e le tre qualità mentali cui si fa riferimento vedi testi e documenti sulla pagina Ritiro-di-febbraio-a-Tossignano 2020 e relativi file AUDIO. Ascolta anche:
Ho pensato di dedicare alcuni post al tema dell’amico e dell’amicizia nei Discorsi del buddhismo antico, un semplice collage di citazioni dai sutta che ne mettano in luce le diverse sfumature e valenze secondo un criterio progressivo: il buon amico in generale; l’amicizia edificante o la ‘ bella amicizia’ (kalyāṇamittatā) per chi aspira a coltivare l’ottuplice sentiero; il Buddha e i nobili come kalyāṇamitta; il rifugio in sé stessi come ‘isola’ quale condizione per offrire affidabile amicizia agli altri .
Il filo conduttore che lega i diversi insegnamenti del Buddha sull’amico è l’importanza di ‘associarsi ai saggi’ (vedi ad esempio Maṅgalasutta) di persona o in spirito, e saper distinguere un’associazione basata sulla comune ricerca del bene dalla semplice simpatia o affetto, dal piacere della compagnia, dalla comunanza di interessi, dall’utilità, eccetera.*
Per cominciare, il breve “Discorso sull’amico” dell’Aṅguttara Nikāya (il primo dei due consecutivi che hanno il medesimo titolo) Paṭhamamittasutta AN 7. 36**
Monaci, dovreste accompagnarvi a un amico dotato di sette qualità. Quali sette? Dà ciò che è difficile dare. Fa ciò che è difficile fare. Sopporta ciò che è difficile sopportare. Ti confida i suoi segreti. Custodisce i tuoi segreti. Non ti abbandona nelle avversità. Non ti svaluta nel dolore. Dovreste accompagnarvi a un amico che ha queste sette qualità.
La seconda citazione è tratta da “Consigli a Sigālaka” (Dīgha Nikāya 31). Questi è un giovane di casta brahmanica che il Buddha incontra casualmente e al quale impartisce alcuni insegnamenti e consigli pratici su come condurre una buona vita (un altro estratto in italiano si può leggere QUI). Due sezioni di questo lungo discorso sono dedicate, rispettivamente, ai “falsi amici” da cui il saggio deve guardarsi “come eviterebbe un sentiero pericoloso”, e ai “buoni amici” di cui bisogna prendersi cura “come una madre del figlioletto che allatta al seno”.
Questi quattro vanno riconosciuti come falsi amici: l’accaparratore, l’ipocrita, l’adulatore, lo spendaccione. L’accaparratore è un falso amico per quattro motivi: prende soltanto, dà poco ma chiede molto, rispetta gli impegni per paura, cerca un tornaconto. L’ipocrita è un falso amico per quattro motivi: dice che era disponibile, dice che sarà disponibile, ti fa tanti complimenti, se oggi ti serve qualcosa dice che naviga in brutte acque. L’adulatore è un falso amico per quattro motivi: asseconda i tuoi difetti, non ti incoraggia a migliorare, ti loda in tua presenza, ti critica alle tue spalle. Lo spendaccione è un falso amico per quattro motivi: ti accompagna a bere, a bighellonare fino a tarda notte, alla fiera, e al tavolo da gioco. […]
Questi quattro vanno riconosciuti come veri amici: l’amico benefattore, l’amico fedele, l’amico mentore, l’amico empatico. L’amico benefattore è un vero amico per quattro motivi: ti protegge quando sei vulnerabile, protegge i tuoi beni quando sei vulnerabile, ti rincuora quando hai paura, al bisogno ti dà il doppio di quel che serve. L’amico fedele è un vero amico per quattro motivi: ti confida i suoi segreti, custodisce i tuoi segreti, non ti abbandona nella sventura, dà la vita per te. L’amico mentore è un vero amico per quattro motivi: ti dissuade dal fare il male, ti incoraggia a fare il bene, ti parla di quel che ancora non sai, ti mostra la via dei cieli. L’amico empatico è un vero amico per quattro motivi: non gioisce della tua sfortuna, gioisce della tua fortuna, impedisce agli altri di sparlare di te, invita gli altri ad apprezzare le tue buone qualità.
Mi sembra di conforto e ispirazione riflettere con gratitudine sui doni inestimabili che ho ricevuto e ricevo dai buoni amici del passato e del presente, e sulle qualità che ho coltivato e posso coltivare per essere a mia volta una buona amica. Come sempre, sono benvenuti i vostri commenti, se qualcuno avesse piacere a condividere qui pensieri e sentimenti suscitati dalla lettura.
*Da questo punto di vista è possibile ravvisare una sintonia fra il pensiero del buddhismo antico e il pensiero di Aristotele (Etica Nicomachea, Libri viii e ix) sui tre tipi di amicizia: quella fondata sull’utile, quella fondata sul piacere e quella fondata sulle virtù.
**La mia traduzione omette i versi conclusivi, che ripetono sostanzialmente il contenuto esposto in prosa cfr https://suttacentral.net/an7.36/en/sujato Dallo stesso link è possibile accedere al testo originale e a traduzioni in altre lingue.
Il ritiro è concluso: la pagina AUDIO è stata aggiornata con il link alle registrazioni di alcuni discorsi o meditazioni dal ritiro. I testi menzionati sono scaricabili da questa pagina.
Motivazione e intenzione nella pratica della presenza mentale
Tossignano (Bologna) 21–23 febbraio
Questo week-end residenziale è adatto a chi è stato già introdotto alla meditazione di consapevolezza o a protocolli Mindfulness ed è interessato allo studio dell’ottuplice sentiero secondo il buddhismo antico.
L’accento sarà su come coltivare la presenza mentale e la consapevolezza situazionale (sati–sampajañña) nell’arco della giornata, e sul ruolo delle tre intenzioni appropriate (sammāsaṅkappā) nello sviluppo della quiete (samatha) e nella dinamica dell’ottuplice sentiero.
Come introduzione all’approccio che seguiremo al ritiro, consigliamo a tutti i partecipanti le seguenti
Gunaratana, H. La felicità in otto passi , Astrolabio 2004 (in particolare pp. 28-83 sui primi due passi dell’ottuplice sentiero: retta visione e retta intenzione/motivazione).
Come supplemento all’articolo già pubblicato su questo blog Clima: meditare e agire condivido qui due recenti lavori di Bhikkhu Anālayo che affrontano il tema della crisi ecologica e del riscaldamento globale dal punto di vista del pensiero del buddhismo antico, e di come la pratica della presenza mentale può aiutarci a comprendere e non alimentare risposte emotive dolorose e non efficaci, come il diniego o l’indifferenza, la rabbia, l’ansia, il dolore e la rassegnazione, fornendoci riflessioni e strumenti per poter pensare e agire più saggiamente in tempi di crisi.
Nella prefazione al saggio del ven. Anālayo, l’insegnante di Dharma James Baraz osserva come i praticanti siano spesso riluttanti ad ascoltare discorsi su questo tema, considerandolo ‘troppo politico’ o fuori luogo nell’ambito di un ritiro di meditazione, oltreché fonte di ansia e altre emozioni ‘difficili’:
Comprensibilmente, cercano scampo dall’intensità emotiva e dal bombardamento delle notizie sensazionalistiche piene di acrimonia, polemica e paura … Però, mi chiedo se non sia una contraddizione impegnarsi nella pratica cercando al tempo stesso di evitare la verità. Da un lato, vorrei offrire parole che calmano la mente e il cuore, ma dall’altro prendo sul serio l’esempio del Buddha secondo il quale, per essere veramente liberi, è necessario confrontarsi con dukkha direttamente, e trasformarlo abilmente in compassione e saggezza.
La mia esperienza nel condividere il Dhamma e la meditazione qui in Italia è molto simile. A volte, sembra esserci l’aspettativa che la meditazione possa o debba schermare dalla realtà del “mondo” e della politica, quindi dalle sollecitazioni percepite da qualunque individuo adulto, inserito in un contesto sociale, a prendere posizione e orientare le proprie scelte, le proprie idee e i propri comportamenti in maniera riflessiva e autonoma. Forse pensiamo che la meditazione dovrebbe renderci immuni o proteggerci dalla distruttività che è presente nella società umana, ma prima ancora nelle nostre vite e nella nostra stessa mente, in forme più o meno sottili. O ancora, che debba fornirci mezzi che ‘magicamente’ riducano l’ansia o trasformino la rabbia in qualcosa di ‘buono’, senza assumerci l’onere di accogliere, sentire, comprendere e digerire le nostre emozioni, assumendoci la piena responsabilità dei modi di pensare, delle aspettative, delle percezioni e dei valori che le sottendono. Quasi che le emozioni siano entità indipendenti e causate da forze esterne a noi, da circostanze oggettive alle quali, tutt’al più, noi dobbiamo sottrarci o imparare a rispondere con ‘equanimità’.
A me pare che, talvolta, gli insegnamenti buddhisti, l’insegnante, il gruppo di pratica e le pratiche stesse derivate dal buddhismo siano investite, più o meno consciamente, di una richiesta di rassicurazione e protezione molto simile a quella che il bambino rivolge ai genitori; oppure, fungano da elementi identitari che permettono di sentirsi dalla parte dei ‘buoni’; spesso, dei più fragili o più sensibili rispetto a un mondo orientato a disvalori ‘alieni’ come l’avidità, il consumismo, l’aggressività, l’odio o la competizione. Il Buddha, però, ci invitava a vedere che questi disvalori hanno alla base meccanismi profondi che condizionano tutti noi, tramite l’ignoranza e la sete, cioè il desiderio innestato egocentricamente e attorno a premesse illusorie. L’altra faccia dell’idealizzazione è il disinganno, e quindi è altrettanto diffuso, oggi, un atteggiamento piuttosto cinico, scettico, o ‘razionalista’ che nega la possibilità di libertà radicale e di profonda trasformazione presentata dalle fonti del buddhismo antico e le testimonianze di coloro che la incarnano in diversa misura nel mondo contemporaneo. Tutt’al più, si sostiene, possiamo aspirare ad accettare con compassione ciò che non potremo mai cambiare, dentro di noi e nella società.
Certo, la capacità di rinunciare veramente e profondamente alle fantasie onnipotenti del bambino, e iniziare a pensare e agire con umiltà, ma senza tirarsi indietro, non è impresa da poco, nella sfera sociale, nella vita privata e nell’arte della meditazione. Ma la pratica del Dhamma, così come la intendo e la sperimento, aiuta in questo compito. E, lasciando andare le illusioni, quello che mi resta in mano, sempre di più, non è cinismo, scetticismo, razionalismo, scoraggiamento o il classico sorriso del ‘paternalismo’ buddhista: ma una sobria, semplice e calorosa buona volontà, che non sottovaluta, né glorifica, l’impatto di tante buone volontà connesse e indipendenti che operano in questo mondo.
Evitando ogni semplificazione, e con la consueta miscela di precisione accademica e desiderio di rendere utili agli altri questi insegnamenti che ama, i due lavori del ven. Analayo ci accompagnano, mi pare, in questa direzione.
Come vivere con gli altri senza paura? Quando ci sentiamo fragili o impotenti possiamo riflettere su quale crediamo sia la fonte della vera forza; su cosa investiamo e su cosa contiamo per alleviare e superare la nostra insicurezza. Secondo il Buddha, i “poteri forti” non sono le oligarchie politiche e finanziare, ma qualità personali e relazionali che sviluppate e coltivate donano coraggio e dignità. Senza bisogno di fare i duri e di alzare muri.
Ci sono questi quattro poteri. Quali quattro? Il potere del discernimento, il potere dell’energia, il potere dell’irreprensibilità, il potere dell’inclusività.
E qual è il potere del discernimento? E’ aver riconosciuto ed esaminato a fondo le cose salutari e considerate salutari, le cose non salutari e considerate non salutari, le cose riprovevoli … non riprovevoli … scure … luminose … da alimentare … da non alimentare … inadatte ai nobili … adatte ai nobili e considerate adatte ai nobili.
Questo è il potere del discernimento.
E qual è il potere dell’energia?
E’ avere la motivazione, è esercitarsi, indirizzare l’energia, applicare la mente e impegnarsi per abbandonare le qualità che sono non salutari e considerate non salutari, le qualità riprovevoli … scure … da non alimentare … inadatte ai nobili e considerate inadatte ai nobili.
E’ avere la motivazione, è esercitarsi, indirizzare l’energia, applicare la mente e impegnarsi per ottenere le qualità che sono salutari e considerate salutari; le qualità lodevoli … luminose … da alimentare … adatte ai nobili e considerate adatte ai nobili.
Questo è il potere dell’energia.
E qual è il potere dell’irreprensibilità? E’ quando un nobile discepolo possiede una condotta irreprensibile, che agisca attraverso il corpo, la parola o il pensiero.
Questo è il potere dell’irreprensibilità.
E qual è il potere dell’inclusione? Ci sono quattro modi di essere inclusivi: la generosità, le buone parole, il prendersi cura, la parità.
Il dono migliore è il dono degli insegnamenti. La miglior forma di parola buona è non stancarsi di spiegare il Dhamma a chi è interessato e ascolta attentamente. Il modo migliore di prendersi cura è incoraggiare, indirizzare e consolidare chi è scettico nella fiducia, chi è amorale nella moralità, chi è avaro nella generosità, chi è ignaro nella comprensione. Il miglior tipo di parità è quella fra un entrato nella corrente e un altro entrato nella corrente; fra uno che torna una sola volta e un altro che torna una sola volta; fra un senza-ritorno e un altro senza-ritorno; fra un realizzato e un altro realizzato. Questo è il potere dell’inclusione.
Questi sono i quattro poteri.
Il nobile discepolo che ha questi quattro poteri ha superato cinque paure. Quali cinque? La paura legata al sostentamento materiale, la paura di essere giudicato male, la paura di essere ansioso in mezzo agli altri, la paura della morte, la paura di una rinascita sfavorevole.
Quindi quel nobile discepolo riflette così: “Non ho paura per quanto riguarda il mio sostentamento. Perché mai dovrei avere paura? Ho questi quattro poteri: il potere del discernimento, il potere dell’energia, il potere dell’irreprensibilità, il potere dell’inclusività.
“Chi è superficiale può aver motivo di temere per il proprio sostentamento. Chi è pigro può aver motivo di temere per il proprio sostentamento. Chi fa cose riprovevoli con il corpo, la parola e il pensiero può aver motivo di temere per il proprio sostentamento. Chi esclude gli altri può aver motivo di temere per il proprio sostentamento.
“Non ho paura di essere giudicato male … Non ho paura di sentirmi ansioso in mezzo agli altri … Non ho paura della morte … Non ho paura di una rinascita sfavorevole.
“Perché mai dovrei avere paura? Ho questi quattro poteri: il potere del discernimento, il potere dell’energia, il potere dell’irreprensibilità, il potere dell’inclusività. Chi è superficiale … pigro … fa cose riprovevoli … esclude gli altri può aver motivo di temere un giudizio negativo … di sentirsi ansioso in mezzo agli altri … della morte … di una rinascita sfavorevole”.
Un nobile discepolo che possiede questi quattro poteri ha superato queste cinque paure.
(Traduzione condotta sul testo pali e sulla versione inglese di Bhante Sujato disponibili su SuttaCentral.net – vedi anche il Saṅgahasutta AN 4.32 nella traduzione di Bhikkhu Bodhiper una diversa resa dei termini chiave).
L’uso di una grande conchiglia spiraliforme come strumento a fiato rappresenta uno dei modi più arcaici e naturali di produzione del suono, principalmente per assolvere a funzioni segnaletiche, in pace o in guerra, o anche in contesti rituali e festivi. In Sicilia, ad esempio, fino a 30-40 anni fa il suono della brogna (trumma o tromba di conchiglia) annunciava l’inizio di attività agricole come il trasporto delle olive nei frantoi o l’avvio dei mulini ad acqua utilizzati per la molitura del grano, e nelle battute di caccia serviva a stanare gli animali selvatici.
Turbinella Pyrum
Nei testi del buddhismo antico il suono della conchiglia (saṅkha) – pieno, potente ed espansivo – ricorre come similitudine per la qualità inclusiva e pervasiva della mente che si sviluppa nella meditazione incentrata sui quattro “illimitati” (appamāna) o “atteggiamenti sublimi” (brahmavihāra): la benevolenza (mettā) la compassione (karunā) la gioia partecipe o apprezzamento (muditā) e l’equanimità (upekkhā).
E’ come se vi fosse qualcuno che è abile nel suonare la conchiglia. Va in un posto dove nessuno l’ha mai udita prima. Sale sulla cima di un alto monte a mezzanotte e con tutte le forze soffia nella conchiglia. Ne esce un suono meraviglioso che pervade le quattro direzioni. (1)
La capacità del suono di estendersi nello spazio saturandolo con una specifica qualità percettiva rispecchia metaforicamente l’esperienza meditativa di un campo unificato e permeato da un singolo sentimento o sensazione significativa associata all’intento/pensiero di gentilezza, compassione, apprezzamento o equanimità. Questo particolare ‘suono’ tende non solo a colorare, per dir così, la coscienza come se quest’ultima fosse un contenitore statico, ma possiede un intrinseco dinamismo che estende la coscienza dissolvendo i contenuti che generano misura e posizione: si parla dunque di una ‘mente illimitata’ perché non misurabile attraverso concetti e intenzioni che reificano l’esperienza, generando il confine fra soggetto e oggetto, interno ed esterno.
Così come il suono della tromba di conchiglia si diffonde senza ostacoli dalla cima del monte e nella notte è chiaramente udibile da chiunque , così l’irradiazione dei brahmavihāra non è circoscritta o rivolta a qualcuno in particolare e presuppone la prospettiva ampia e non ostruita acquisita con il previo abbandono dei cinque impedimenti e dei pensieri distraenti (vedi post precedenti QUI e QUI) .
In questo senso, il metodo di meditazione attestato nella letteratura buddhista posteriore e insegnato in prevalenza anche oggi in occidente, consistente nello sviluppare sistematicamente la benevolenza, eccetera, verso di sé, la persona cara, la persona neutra e la persona non gradita od ostile, per poi estenderla a diverse classi di esseri e infine a tutti gli esseri senza esclusioni, si potrebbe forse intendere come un abile mezzo o addestramento preliminare volto a mettere in luce e superare i pregiudizi cognitivi ed emotivi per cui certi sentimenti o intenzioni positive sono evocati dalle caratteristiche attribuite dal meditante a un particolare oggetto, o comunque legati a una categoria di persone, piuttosto che essere l’espressione di un desiderio autonomo del cuore.
Nei Discorsi antichi, d’altro canto, è a più riprese sottolineato il valore della benevolenza e della compassione espresse con pensieri, parole e atti nei confronti di esseri o individui specifici (ad esempio i propri compagni di pratica, persone che agiscono scorrettamente, animali). Ma ciò sembra riferirsi più a un contesto relazionale e allo sviluppo di qualità e intenzioni etiche nel quotidiano, che non a un metodo di meditazione formale.
Traduco di seguito la sezione del Saṅkhadhama SuttaSaṃyutta Nikāya 42.8 dove ricorre la formula che nei Discorsi descrive invariabilmente la meditazione sui brahmavihāra (qui evidenziata in grassetto) e che termina appunto con la similitudine del suonatore di conchiglia. Il contesto è una conversazione fra il Buddha e il giainista Asibandhakaputta intorno alle conseguenze delle azioni eticamente rilevanti sulla qualità della futura rinascita (2). Il Buddha confuta la nozione semplicistica del kamma enunciata dal suo interlocutore, secondo cui la rinascita dipenderebbe dalle azioni che si compiono abitualmente, dicendo che se così fosse nessuno subirebbe le conseguenze negative dei propri atti nocivi, visto che anche un assassino passa la maggior parte del suo tempo a non uccidere, piuttosto che a uccidere. Tale conclusione paradossale, che nega il nesso di causa ed effetto e la responsabilità personale, è ritenuta insoddisfacente tanto dai buddhisti che dai giainisti, anche se con motivazioni diverse. Il Buddha, poi, mostra come sia possibile abbandonare qui e ora le azioni nocive e intraprendere azioni benefiche; e, oltre a ciò, sviluppare la mente e il cuore con la meditazione in modo da neutralizzare o indebolire gli effetti delle azioni compiute in passato sotto l’influsso di avidità, odio e illusione che limitano e condizionano la coscienza.
Il soggetto del brano seguente è qualcuno che ha ascoltato l’insegnamento del Buddha e ha fiducia di poter cambiare in meglio, superando il rammarico per i comportamenti e gli atteggiamenti non saggi del passato e impegnandosi giorno per giorno a vivere diversamente:
“Smette di uccidere e si astiene dall’uccidere. Smette di rubare e si astiene dal rubare. Smette di comportarsi irresponsabilmente in ambito sessuale e si astiene dal sesso irresponsabile. Smette di mentire e si astiene dal mentire. Smette di seminare zizzania e si astiene dal seminare zizzania. Smette di parlare in modo offensivo e si astiene da un linguaggio offensivo. Smette di chiacchierare inutilmente e si astiene dalle chiacchiere inutili. Abbandonando il desiderio invidioso, non nutre invidia. Abbandonando il rancore e l’odio, non nutre odio. Abbandonando le opinioni scorrette, adotta una prospettiva corretta. (3)
Quel discepolo dei nobili – senza avidità, senza malanimo, vigile, consapevole – pervade la prima direzione dello spazio con una mente colma di benevolenza; e così pure la seconda, la terza e la quarta direzione. In alto, in basso, in mezzo, ovunque, completamente: pervade tutto il mondo con una mente colma di benevolenza, vasta, magnanima, illimitata, non ostile e non aggressiva.
[come sopra] pervade tutto il mondo con una mente colma di compassione: vasta, magnanima, illimitata, non ostile e non aggressiva.
[come sopra] pervade tutto il mondo con una mente colma di apprezzamento: vasta, magnanima, illimitata, non ostile e non aggressiva.
[come sopra] pervade tutto il mondo con una mente colma di equanimità: vasta, magnanima, illimitata, non ostile e non aggressiva.
Come una persona vigorosa che soffia nella tromba di conchiglia si fa sentire senza sforzo in tutte le direzioni, allo stesso modo, quando la liberazione del cuore tramite la benevolenza [la compassione, l’apprezzamento, l’equanimità] è stata coltivata e realizzata in questo modo, qualunque azione limitante del passato non lascia traccia né perdura. “
La temporanea liberazione del cuore (cetovimutti) tramite la benevolenza o le altre tre qualità/intenzioni illimitate è dunque una potente esperienza trasformativa che
‘Imita’ e precorre, esperienzialmente, la condizione ideale di una mente libera che esprime solo risposte sane ed evita intenzioni e reazioni non salutari. Con questo tipo di addestramento le radici delle tendenze della mente a generare karma basato sull’ignoranza si depotenziano dall’interno.(4)
Una similitudine contenuta in un altro discorso (Aṅguttara Nikāya 3.100) paragona gli effetti di un’azione nociva di poco conto compiuta da qualcuno che ha sviluppato la virtù e ha una mente aperta e incline agli illimitati a un granello di sale disciolto nell’acqua del Gange: essendo l’acqua abbondante, non diventerà salata e inadatta a essere bevuta. Al contrario, un granello di sale disciolto in un bicchier d’acqua (in una mente ristretta) avrà il potere di renderla imbevibile.
Allora il nobile discepolo riflette così: ‘Prima, la mia mente era ristretta e sottosviluppata; ora è illimitata e ben sviluppata’.
A questo punto, secondo la logica dei Discorsi, il praticante che ha maturato una corretta prospettiva circa la sofferenza, le sue cause, la cessazione e il sentiero (ossia le quattro nobili verità) può compiere un ulteriore passo verso la liberazione ‘incrollabile’ esaminando l’esperienza meditativa del brahmavihāra alla luce della visione profonda o vipassanā, che mina il desiderio e la possibilità di aderire, identificarsi o aggrapparsi a un qualunque stato mentale o condizione di esistenza: (5)
‘Questa liberazione della mente tramite la benevolenza (ecc.) è condizionata e prodotta intenzionalmente; ma tutto ciò che è condizionato e prodotto intenzionalmente è impermanente, soggetto a cessazione’. Se persiste in ciò, ottiene l’esaurimento degli influssi [o se non l’ottiene, consegue come minimo il non-ritorno a un’esistenza sul piano sensoriale]Majjhima Nikāya 52
NOTE
Rendo in italiano un brano del Madhyama-āgama 152 tradotto dall’originale cinese dal ven. Anālayo in: Compassion and Emptiness in Early Buddhist Meditation pp. 23-24 (clicca sul link per scaricare il pdf del volume, nel quale l’autore mette a confronto testi appartenenti a diverse linee di trasmissione e redazione dei discorsi del Buddha – in particolare gli Āgama cinesi e i Sutta pali – per offrire un quadro dettagliato, coerente, ma anche ricco di sfumature, degli insegnamenti originari circa la pratica meditativa in oggetto). Cfr Majjhima Nikāya 99 (Subha Sutta) dove però la similitudine si limita a menzionare un vigoroso trombettiere che si fa udire senza sforzo nelle quattro direzioni. Clicca qui per leggere una trad. it del sutta o la versione inglese di Bhante Sujato.
La prima parte del Discorso che non ho tradotto si può leggere in inglese QUI
Sulle dieci condotte non salutari e salutari cfr. il Saleyyaka Sutta (Majjhima Nikāya 41) qui mia trad. it. SU ETICA E RETTA INTENZIONE vedi QUI e QUI
Bhikkhuni Dhammadinnā, “Semantics of Wholesomeness: Purification of Intention and the Soteriological Function of the Immeasurables
(appamāṇas) in Early Buddhist Thought”, 2014, p. 73.
Per un esame dettagliato della coltivazione degli illimitati nel contesto del triplice addestramento superiore delineato nei testi del buddhismo antico (etica, concentrazione e saggezza) rimando al saggio di Giuliana Martini (alias Bhikkhuni Dhammadinna), The Meditative Dynamics of the Early Buddhist Appamānas , 2011
Traduco di seguito il famoso MaṅgalasuttaSutta Nipāta 2.4 (vedi anche Khuddakapāṭha 5) Esistono numerose traduzioni in lingua inglese, alcune corredate da commenti, disponibili online VEDI QUI. A parte le piccole differenze di resa o interpretazione, dovute anche al fatto che il testo pali è in versi ed è molto stringato, il senso generale è chiaro: l’approccio del Buddha alla buona sorte, alla prosperità e alla protezione non implica il ricorso a cerimonie, segni, formule, talismani, riti e benedizioni, ma è basato essenzialmente sull’impegno personale a vivere in modo tale da piantare i semi della reale prosperità.
Ho reso il testo in un linguaggio semplice e immediato che non richiede note o spiegazioni. Per cui ad esempio la devatā che interloquisce con il Buddha diventa una ‘dea’, anche se i deva del buddhismo non sono immortali e, per quanto a volte un po’ frivoli o vanesi, amano la virtù e hanno un carattere più benevolo degli dèi della mitologia classica o induista. Maṅgala sta per tutto ciò che è presagio di fortuna (cfr l’augurio o portento che è segno del favore degli dèi) o che ha il potere di impartire o propiziare fortuna, protezione o benessere (un esempio contemporaneo è il rito del matrimonio, religioso o laico; ma pensiamo al ruolo della benedizione paterna nell’Antico Testamento).
In fondo al post trovate un video dove Bhikkhu Bodhi offre un bel commento a questo insegnamento, sottolineandone il valore soprattutto per chi pratica il Dhamma nella vita laica. Il testo è organizzato secondo la logica dell'”esposizione graduale” (ānupubbīkathā) VEDI POST PRECEDENTE
Nei paesi del sud-est asiatico dove prevale il buddhismo theravada anche i bambini lo imparano a scuola e sanno recitarlo. E’ incluso fra i canti di protezione (Paritta) che i monaci e monache eseguono a beneficio dei laici – ascoltate un bell’esempio in stile srilankese qui sotto:
HO UDITO che in una certa occasione il Beato viveva a Sāvatthī nella Selva di Jeta, il parco di Anāthapiṇḍika. Allora, nel cuor della notte, una dea di eccezionale bellezza che rischiarava l’intera Selva di Jeta con la sua luce si accostò al Beato. Dopo essersi accostata si inchinò al Beato e restò in piedi da un canto. Poi si rivolse al Beato parlando in versi:
Il pensier di quelle cose Che propiziano l’agognata buona sorte E’ caro a molti fra gli uomini e gli dèi. Ti chiedo: quale benedizione reputi la migliore?
[Il Buddha:]
Non associarsi agli stolti Ma associarsi ai saggi E rendere onore a chi è dovuto: E’ la benedizione migliore.
Vivere in luoghi adatti Le buone azioni fatte in passato Fare le giuste scelte: E’ la benedizione migliore.
Una buona istruzione e abilità pratiche Essere esperti nel proprio campo Parlare con proprietà: E’ la benedizione migliore.
Assistere madre e padre Amare il coniuge e i figli Un lavoro che non crea conflitto: E’ la benedizione migliore.
Essere generosi e giusti Aiutare i parenti Comportarsi onestamente: E’ la benedizione migliore.
Non fare mai del male Mantenersi sobri Prendersi cura della mente: E’ la benedizione migliore.
Essere rispettosi e modesti Sentirsi paghi e grati Avere tempo per ascoltare il Dhamma: E’ la benedizione migliore.
Essere pazienti e lasciarsi correggere Incontrare veri contemplativi Avere tempo per discutere il Dhamma: E’ la benedizione migliore.
L’ardore e la rinuncia Comprendere le nobili verità L’esperienza della liberazione: E’ la benedizione migliore.
Un cuore che non è scosso Dagli alti e bassi della vita Sereno, terso, al sicuro: E’ la benedizione migliore.
Poiché così facendo Si va ovunque vittoriosi Si va ovunque in sicurezza Questa è la benedizione migliore.
E’ iniziato il secondo ciclo del Laboratorio Mestre – “LEZIONI DI SAMADHI” gli insegnamenti di Achaan Lee – che si terrà dal 6 mar. al 5 giu. 2017 INFO QUI
Nel secondo ciclo esploreremo la pratica di anapanasati (consapevolezza inspirando ed espirando) ispirandoci agli insegnamenti di Achaan Lee Dhammadharo (1906-1961) uno dei grandi maestri di meditazione tailandesi. Gli insegnamenti di Achaan Lee, originali e di primo acchito un po’ insoliti per noi occidentali, scaturiscono dalla pratica a contatto con la natura nella solitudine della foresta, ma anche da un preciso intento didattico: i suoi ‘manuali’ di meditazione si rivolgevano anche ai suoi numerosi allievi laici, e presentano gli stati progressivi di quiete (jhana) come l’esito della coltivazione organica di virtù, presenza mentale e discernimento, secondo una dinamica che caratterizza le istruzioni del Buddha nei Discorsi antichi. Bibliografia minima: Lessons in Samadhi http://www.accesstoinsight.org/lib/thai/lee/inmind.html
Su questa pagina, che aggiornerò periodicamente, troverete via via gli spunti di pratica, i testi e altri materiali relativi agli incontri del Laboratorio (cliccate sul link per scaricare documenti in formato pdf). Per le registrazioni bisogna visitare la pagina AUDIO
I partecipanti al Laboratorio possono lasciare domande e commenti qui cliccando in alto a destra su Lascia un Commento (o “Commenti” – se già ve ne fossero) ricordandosi di spuntare la casella “notificami nuovi commenti” e “notificami nuovi post” per restare aggiornati.