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Il blog di Letizia Baglioni

Archivi tag: khandha

La percezione dell’impermanenza

01 lunedì Giu 2020

Posted by Letizia Baglioni in Percorsi tematici

≈ 2 commenti

Tag

impermanenza, khandha, percezione, satipatthana, vipassana

20210716_193318 (2)Diversamente da quanto si potrebbe credere, la riflessione sulla mortalità, sul cambiamento e sulla natura condizionata e impermanente di tutti gli aspetti dell’esperienza fisica e mentale con cui di norma ci identifichiamo è presentata nei testi del buddhismo antico come guaritiva, liberante, fonte di saggezza, gioia e compassione.

Perché funzioni come antidoto all’egocentrismo e alla fissità percettiva che alimenta le afflizioni e i condizionamenti del cuore, la percezione dell’impermanenza deve essere coltivata sulla base di un’attenzione chiara e focalizzata nel presente, di un vivido senso della propria incarnazione e di una disponibilità fiduciosa a farsi insegnare le verità dell’esistenza dalla voce umile e spesso inascoltata delle esperienze più ordinarie e comuni che diamo per scontate, a cui resistiamo, o che si impongono al cuore come frammenti del più ampio, e apparentemente interminabile, racconto di un fantasmatico sé.

Bhikkhu, così come in autunno, quando il cielo è limpido e senza nubi, il sole che sorge dissipa l’oscurità dello spazio con i suoi raggi, la sua luce, il suo splendore, allo stesso modo, quando è sviluppata e coltivata, la percezione dell’impermanenza dissipa l’attaccamento al piacere sensoriale, dissipa l’attaccamento al divenire, dissipa l’ignoranza, e sradica la finzione ‘io sono’. E in che modo, bhikkhu, bisogna sviluppare e coltivare la percezione dell’impermanenza … ? ‘Questa è la forma fisica: così sorge, così svanisce; questa è la sensazione … questa è la percezione … queste sono le volizioni … questa è la coscienza: così sorge, così svanisce’. Ecco come si sviluppa e coltiva la percezione dell’impermanenza affinché dissipi completamente l’attaccamento al piacere sensoriale, l’attaccamento al divenire, l’ignoranza, e sradichi la finzione ‘io sono’. –  Saṃyutta Nikāya 22.102 Aniccasaññā-sutta  (Il discorso sulla percezione dell’impermanenza)

Audio

Sulle “percezioni correttive” nella meditazione di visione profonda (vipassanā)

https://letiziabaglionidotcom.files.wordpress.com/2020/06/lab-mestre19.3.mp3

Vipallasa: inversioni percettive

https://letiziabaglionidotcom.files.wordpress.com/2020/02/lab-mestre-7.mp3

Le percezioni correttive

https://letiziabaglionidotcom.files.wordpress.com/2020/06/investigazione-2.mp3

Investigazione

per i testi citati e altri audio sulla percezione vai al Percorso tematico Percezione e discernimento

Letture

Un grumo di schiuma    Sui cinque upādāna khandha, ossia “aggregati” o “gruppi di appropriazione”

Letture dai Sutta 2019: Scheda del seminario e video 1

Meditazione

contemplando l’impermanenza nei cinque khandha

Percezione e discernimento

07 lunedì Ott 2019

Posted by Letizia Baglioni in Percorsi tematici

≈ 26 commenti

Tag

discernimento, esperienza, impermanenza, khandha, Laboratorio Mestre, percezione, satipatthana, vipassana

Questo post presenta una selezione di materiali tratti dal Laboratorio di studio e pratica del Dhamma tenutosi a Venezia Mestre ott.-nov. 2019: Percezione e discernimento nella pratica di visione profonda (vipassanā). Gli interventi dei partecipanti sono stati conservati nell’area dei COMMENTI, dove trovate anche traduzioni di articoli e testi.

Desert_mirage_62907

Immagina un miraggio che luccica a mezzogiorno nella stagione calda … allo stesso modo … quale sostanza potrebbe esservi in una percezione? (Saṃyutta Nikāya 22.95)

Esplora la natura e il ruolo di saññā – la ‘percezione’ come processo di costruzione di segni e significati – nel contesto dei 5 khandhā (gruppi o aggregati) e nel percorso di sviluppo mentale volto a indebolire e infine neutralizzare le radici delle intenzioni e reazioni non salutari (avidità, avversione e illusione). Nella prospettiva dei Discorsi le distorsioni percettive di base della mente non evoluta vengono decostruite con l’applicazione di ‘percezioni correttive’ e dell’investigazione.

AUDIO

https://letiziabaglionidotcom.files.wordpress.com/2019/10/percezione-le-categorie-di-vipassana.mp3

Percezione – le categorie di vipassanā (6 basi sensoriali, 5 gruppi, nome-forma e coscienza)

https://letiziabaglionidotcom.files.wordpress.com/2019/10/percezione-2.mp3

Percezione – concetto e significato affettivo

https://letiziabaglionidotcom.files.wordpress.com/2019/10/percezione-3-nimitta.mp3

Percezione – nimitta (segno), reattività e custodia dei sensi

https://letiziabaglionidotcom.files.wordpress.com/2019/10/percezione-pubblicita-1.mp3

Percezione – pubblicità, propaganda: la natura ingannevole di saññā

https://letiziabaglionidotcom.files.wordpress.com/2019/10/percezione-papanca1.mp3

Percezione – papañca (proliferazione concettuale)

https://letiziabaglionidotcom.files.wordpress.com/2019/10/percezione-papanca-2.mp3

Percezione – papañca (2) Madhupiṇḍika Sutta (MN 18)

https://letiziabaglionidotcom.files.wordpress.com/2019/10/percezione-discernimento-e-liberta.mp3

Percezione – l’istruzione a Bahiya

Sulle ‘percezioni correttive’ o percezioni da coltivare (in particolare la percezione dell’impermanenza o incostanza) vedi TESTI e APPUNTI e vai al Percorso tematico La percezione dell’impermanenza

TESTI

Un grumo di schiuma Pheṇa­piṇ­ḍūpama­ sutta SN 22.95

La percezione dell’impermanenza Aniccasaññā-sutta SN 22.102

Madhupiṇḍika Sutta (MN 18)  Papanca o proliferazione concettuale

Girimānanda Sutta (AN 10.60) (10 percezioni da coltivare)

Dutiyasaññāsutta (AN 7.49) (7 percezioni da coltivare) vedi APPUNTI 5 e 6

APPROFONDIMENTI

Anālayo, The Bāhiya Instruction and Bare Awareness

Anālayo, In the Seen Just the Seen: Mindfulness and the Construction of Experience 

APPUNTI

1) Nome e forma (NAMA RUPA)

2) Inversioni percettive (saññā vipallāsā)  Aṅguttara Nikāya 4.49 (trad. Olendzki)

3) Custodia dei sensi (citazioni da sutta)   pamada      sei animali

4) Anālayo, Nimitta

5) 10 Percezioni del GIRIMĀNANDA SUTTA cfr Anālayo mindfullyfacingdiseasedeath pp. 208 sgg.  (in particolare: la percezione dell’impermanenza pp.214-216 vedi trad. it. nella sezione COMMENTI)

6) Percezioni AN7.49 AN10.60 + estratto in italiano

Un grumo di schiuma

07 martedì Nov 2017

Posted by Letizia Baglioni in Sutta

≈ Commenti disabilitati su Un grumo di schiuma

Tag

dukkha, khandha, Sutta

Quel che segue è una versione italiana del Pheṇa­piṇ­ḍūpama­ sutta – Saṃyutta Nikāya 22.95. Il testo pāli e la traduzione inglese di Bhikkhu Bodhi possono essere consultati QUI  Ho omesso i versi conclusivi, che non aggiungono alla sostanza del discorso in prosa.

In una certa occasione il Beato dimorava ad Ayojjhā sulle sponde del  Gange. Lì il Beato si rivolse ai bhikkhu:

“Immaginate un grosso grumo di schiuma portato dalla corrente del fiume, e che un uomo di buona vista lo osservi, consideri ed esamini attentamente. Avendolo osservato, considerato ed esaminato attentamente gli apparirebbe vuoto, inconsistente e privo di sostanza. E quale sostanza potrebbe esservi in un grumo di schiuma?  schiuma

Allo stesso modo, qualunque forma – passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o sottile, infima o eccellente, lontana o vicina – un bhikkhu la osserva, considera ed esamina attentamente. E avendola osservata, considerata ed esaminata attentamente gli appare vuota, inconsistente e priva di sostanza.  E quale sostanza potrebbe esservi nella forma?

Immaginate una bolla d’acqua che si forma e dissolve sull’acqua, quando d’autunno cadono grosse gocce di pioggia; e che un uomo di buona vista la osservi, consideri ed esamini attentamente. Avendola osservata, considerata ed esaminata attentamente gli apparirebbe vuota, inconsistente e priva di sostanza. E quale sostanza potrebbe esservi in una bolla d’acqua?  pioggiaAllo stesso modo, qualunque sensazione – passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o sottile, infima o eccellente, lontana o vicina – un bhikkhu la osserva, considera ed esamina attentamente. E avendola osservata, considerata ed esaminata attentamente gli appare vuota, inconsistente e priva di sostanza. E quale sostanza potrebbe esservi in una sensazione?

Immaginate un miraggio che luccica a mezzogiorno nell’ultimo mese della stagione calda, e che un uomo di buona vista lo osservi, consideri ed esamini attentamente. Avendolo osservato, considerato ed esaminato attentamente gli apparirebbe vuoto, inconsistente e privo di sostanza. E quale sostanza potrebbe esservi in un miraggio? miraggio Allo stesso modo, qualunque percezione – passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o sottile, infima o eccellente, lontana o vicina – un bhikkhu la osserva, considera ed esamina attentamente, e avendola osservata, considerata ed esaminata attentamente gli appare vuota, inconsistente e priva di sostanza.  E quale sostanza potrebbe esservi in una percezione?

Immaginate qualcuno che avendo bisogno di legname e andando in cerca di legname vada nel bosco con un’ascia affilata per procurarsi il legname. Lì vede il fusto di un grande banano – dritto, rigoglioso, senza infiorescenze. Lo abbatte, taglia il ciuffo e srotola il fusto, ma srotolato il fusto non trova neppure l’alburno, tanto meno il durame. A un uomo di buona vista che lo osservi, consideri ed esamini attentamente apparirebbe vuoto, inconsistente e privo di sostanza. E quale sostanza potrebbe esservi in un fusto di banano?  cross-section-pseudostemAllo stesso modo, qualunque volizione – passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o sottile, infima o eccellente, lontana o vicina – un bhikkhu la osserva, considera ed esamina attentamente, e avendola osservata, considerata ed esaminata attentamente gli appare vuota, inconsistente e priva di sostanza.  E quale sostanza potrebbe esservi nelle volizioni?  

Immaginate un mago, o l’apprendista di un mago, che esegue un incantesimo a un crocicchio, e che un uomo di buona vista lo osservi, consideri ed esamini attentamente. Avendolo osservato, considerato ed esaminato attentamente gli apparirebbe vuoto, inconsistente e privo di sostanza. E quale sostanza potrebbe esservi in un incantesimo? Allo stesso modo, qualunque coscienza – passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o sottile, infima o eccellente, lontana o vicina – un bhikkhu la osserva, considera ed esamina attentamente, e avendola osservata, considerata ed esaminata attentamente gli appare vuota, inconsistente e priva di sostanza.  E quale sostanza potrebbe esservi nella coscienza? 

Alla luce di ciò, il nobile discepolo che conosce gli insegnamenti perde interesse per la forma, le sensazioni, i concetti, le volizioni, la coscienza. Avendo perso interesse è distaccato, e il distacco lo libera. Quando è libero sa: ‘Libero’. Allora capisce: ‘La nascita è estinta, la vita santa è compiuta, quel che andava fatto è stato fatto, non c’è altro per l’esistenza’”. Questo è ciò che disse il Beato.

NOTE ALLA TRADUZIONE

Forma, ecc. Ossia i cinque gruppi di appropriazione (pañcupādānakkhandhā), processi condizionati e impermanenti su cui si basa la costruzione dell’io e del mio e la sofferenza che ne deriva. Per una esposizione del concetto di khandhā (comunemente noti come “aggregati”) nei discorsi antichi, vedi Anālayo Bhikkhu, Satipaṭṭhāna: The Direct Path to Realization cap. X –  PER UN ESTRATTO IN ITALIANO CLICCA QUI    Una descrizione esperienziale dei cinque khandha come ‘tessiture o consistenze dell’essere’, utile per la pratica di consapevolezza è quella di Achaan Sucitto: vedi Anapanasati_2 (Corpo sottile e tessiture dell’essere)

Osserva, considera, esamina attentamente …  “passati nijjhāyati yoniso upaparikkhati” i tre verbi in sequenza sono quasi sinonimi ma suggeriscono un’intensificazione progressiva, l’esercizio di una qualità di investigazione, discernimento o visione penetrante (vipassanā). Nijjhāyati è forse più forte del nostro ‘considera’, e implica una sostenuta riflessione o meditazione (ma voglio evitare giri di frase e conservare un bel ritmo!) . Yoniso è più specifico di ‘attentamente’ o ‘accuratamente’ e rimanda etimologicamente all’andare ‘alla radice’ (ma anche qui scelgo semplicità e immediatezza). Sul significato di yoniso vedi anche gli appunti dal ritiro Attenzione accurata e i relativi discorsi nella sezione AUDIO di questo blog, in particolare il n. 3 “comprendere dukkha”.

Un fusto di banano … Il banano è in realtà una pianta erbacea prodotta da un bulbo-tubero e il suo pseudofusto, che muore dopo la maturazione dei frutti, è formato da vari strati di foglie strettamente arrotolate a spirale e non contiene alcuna sostanza legnosa o nucleo. In altre parole, la guaina delle foglie non si innesta su alcun ‘fusto’, ma le foglie si sostengono a vicenda creando un effetto di compattezza e la tipica sezione ad anelli (visibile in foto) che solo formalmente ricorda quella di un albero. Analogamente, la dinamica delle volizioni (intenzioni, impulsi, desideri, tendenze, schemi mentali, abitudini, processi inconsci o preconsci che generano pensieri ed emozioni … sotto l’egida dell’ignoranza e dell’attaccamento) crea l’impressione di un agente o soggetto da cui promanano, a cui si appoggiano o appartengono, ma a un esame accurato tale dinamica si rivela ‘vuota’ di un io o mio e di alcunché di permanente, consistente e soddisfacente.

L’incantesimo di un mago …  māyā si può anche rendere con ‘gioco di prestigio’, nel senso di un trucco di magia che ci fa vivere ed esperire come credibile, coerente e sostanziale un fluido caledoscopio di fenomeni incostanti e condizionati. Comprendere il carattere illusionistico della coscienza (che emerge dal contatto fra le sei basi sensoriali interne ed esterne ed è plasmata da volizioni e tendenze) mina l’implicito sentimento di realtà oggettiva e valore che tendiamo a impartire alla nostra esperienza del mondo e di un ‘io’ che lo conosce.

Afflitto nel corpo, non nella mente

27 mercoledì Set 2017

Posted by Letizia Baglioni in Sutta

≈ Commenti disabilitati su Afflitto nel corpo, non nella mente

Tag

anatta, khandha, non identificazione, Sutta

Traduco di seguito il Discorso a Nakula­pi­ta – Saṃyutta Nikāya 22.1. Il testo pali e le versioni inglesi consultate sono disponibili su  https://suttacentral.net/pi/sn22.1  A breve un post di commento. 

COSI’ HO UDITO. Una volta il Beato dimorava fra i Bhagga a Suṃsumaragira,  nel parco delle gazzelle della foresta di Bhesakaḷa. Allora il laico Nakulapita si recò dal Beato, porse i suoi omaggi, si sedette da un canto e gli disse:

“Sono vecchio, signore, anziano, carico d’anni, all’ultimo stadio, sofferente nel corpo e sovente malato. Raramente ho occasione di vedere il Beato e i monaci degni di stima. Che il Beato mi esorti e mi istruisca, signore, così che torni a mio vantaggio e duraturo beneficio”.

“Proprio così, capofamiglia, proprio così. Questo tuo corpo è afflitto, oppresso, aggravato. Se qualcuno portasse in giro questo corpo affermando che è sano, sia pure occasionalmente, non parlerebbe a vanvera? Perciò, capofamiglia, devi praticare così: ‘Per quanto sia afflitto nel corpo, la mia mente non soffrirà’. Ecco come dovresti praticare”.

Allora Nakulapita, soddisfatto e grato per le parole del Beato, si alzò, porse i suoi omaggi e si recò dal venerabile Sāriputta. Dopo aver salutato il venerabile Sāriputta, si sedette da un canto. Il venerabile Sāriputta disse:

“Capofamiglia, i tuoi sensi sono in pace, il tuo incarnato è chiaro e luminoso. Hai forse ascoltato un discorso sul Dhamma, oggi, alla presenza del Beato?”

“Come no, signore! Proprio adesso son stato asperso con l’ambrosia di un discorso sul Dhamma”.

“E con che genere di ambrosia di discorso sul Dhamma sei stato asperso dal Beato?”

[Nakulapita riferisce la conversazione avuta con il Buddha]

“Ma non hai pensato di chiedere al Beato in che modo si è afflitti nel corpo e nella mente, e in che modo si è afflitti nel corpo, ma non nella mente?”.

“Verrei da lontano per farmelo spiegare dal venerabile Sāriputta. Sarebbe bene se il venerabile Sariputta chiarisse il senso di quelle parole”.

“Allora ascolta e fai bene attenzione, capofamiglia, parlerò”.

“Sì, signore”, replicò Nakulapita. Il venerabile Sāriputta disse:

“E COME SI E’ AFFLITTI nel corpo e afflitti nella mente? Ecco, capofamiglia: una persona ordinaria che non conosce gli insegnamenti, che non frequenta i nobili e non è esperta e addestrata nella nobile pratica, che non frequenta i buoni e non è esperta e addestrata nella buona pratica, considera la forma come il sé, o come appartenente al sé, considera la forma nel sé, o il sé nella forma. E’ dominata dall’idea ‘Sono la forma, la forma è mia’. Mentre vive dominata da questa idea, la forma cambia e si altera. Con il cambiamento e l’alterazione della forma prova tristezza, pena, disagio, scontento e angoscia.

“Considera la sensazione come il sé, o come appartenente al sé, considera la sensazione nel sé, o il sé nella sensazione. E’ dominata dall’idea ‘Sono la sensazione, la sensazione è mia’. Mentre vive dominata da questa idea, la sensazione cambia e si altera. Con il cambiamento e l’alterazione della sensazione prova tristezza, pena, disagio, scontento e angoscia.

“Considera la percezione come il sé, o come appartenente al sé, considera la percezione nel sé, o il sé nella percezione. E’ dominata dall’idea ‘Sono la percezione, la percezione è mia’. Mentre vive dominata da questa idea, la percezione cambia e si altera. Con il cambiamento e l’alterazione della percezione prova tristezza, pena, disagio, scontento e angoscia.

“Considera le volizioni come il sé, o come appartenenti al sé, considera le volizioni nel sé, o il sé nelle volizioni. E’ dominata dall’idea ‘Sono la volizione, la volizione è mia’. Mentre vive dominata da questa idea, la volizione cambia e si altera. Con il cambiamento e l’alterazione della volizione prova tristezza, pena, disagio, scontento e angoscia.

“Considera la coscienza come il sé, o come appartenente al sé, considera la coscienza nel sé, o il sé nella coscienza. E’ dominata dall’idea ‘Sono la coscienza, la coscienza è mia’. Mentre vive dominata da questa idea, la coscienza cambia e si altera. Con il cambiamento e l’alterazione della coscienza prova tristezza, pena, disagio, scontento e angoscia.

 “Ecco come si è afflitti nel corpo e afflitti nella mente”.

“E COME SI E’ AFFLITTI nel corpo, ma non nella mente? Ecco, capofamiglia: il nobile discepolo che conosce gli insegnamenti, che frequenta i nobili ed è esperto e addestrato nella nobile pratica, che frequenta i buoni ed è esperto e addestrato nella buona pratica, non considera la forma come il sé, o come appartenente al sé, non considera la forma nel sé, o il sé nella forma. Non è dominato dall’idea ‘Sono la forma, la forma è mia’. Mentre vive non dominato da questa idea, la forma cambia e si altera. Con il cambiamento e l’alterazione della forma, non prova tristezza, pena, disagio, scontento e angoscia.

“Non considera la sensazione come il sé, o come appartenente al sé, non considera la sensazione nel sé, o il sé nella sensazione. Non è dominato dall’idea ‘Sono la sensazione, la sensazione è mia’. Mentre vive non dominato da questa idea, la sensazione cambia e si altera. Con il cambiamento e l’alterazione della sensazione non prova tristezza, pena, disagio, scontento e angoscia.

“Non considera la percezione come il sé, o come appartenente al sé, non considera la percezione nel sé, o il sé nella percezione. Non è dominato dall’idea ‘Sono la percezione, la percezione è mia’. Mentre vive non dominato da questa idea, la percezione cambia e si altera. Con il cambiamento e l’alterazione della percezione non prova tristezza, pena, disagio, scontento e angoscia.

“Non considera le volizioni come il sé, o come appartenenti al sé, non considera le volizioni nel sé, o il sé nelle volizioni. Non è dominato dall’idea ‘Sono la volizione, la volizione è mia’. Mentre vive non dominato da questa idea, la volizione cambia e si altera. Con il cambiamento e l’alterazione della volizione non prova tristezza, pena, disagio, scontento e angoscia.

“Non considera la coscienza come il sé, o come appartenente al sé, non considera la coscienza nel sé, o il sé nella coscienza. Non è dominato dall’idea ‘Sono la coscienza, la coscienza è mia’. Mentre vive non dominato da questa idea, la coscienza cambia e si altera. Con il cambiamento e l’alterazione della coscienza non prova tristezza, pena, disagio, scontento e angoscia.

“Ecco come si è afflitti nel corpo, ma non nella mente”.

Così parlò il venerabile Sāriputta. Lieto, Nakulapita apprezzò le parole del venerabile Sāriputta.

Comprendere dukkha

25 mercoledì Nov 2015

Posted by Letizia Baglioni in Senza categoria

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Tag

dukkha, khandha

Come  sa chi studia e pratica il Dhamma, il termine pali dukkha è tanto ricorrente negli insegnamenti del Buddha quanto sfuggente, difficile da tradurre, fonte di fraintendimenti e di dubbi. Ma alla fine, quel che conta non è tanto trovare la perfetta definizione, quanto usare questo concetto come un dito che punta alla luna della nostra condizione, personale e collettiva. Nel modo in cui ricorre nei Discorsi antichi appare come un segno stenografico che va esplicitato e tradotto dall’ascoltatore alla luce della propria esperienza di vita e della comprensione dell’intero insegnamento del Buddha.

Traduco qui di seguito alcuni brani dal capitolo 5 di The Dawn of the Dhamma di Ajahn Sucitto (1). Vedrete come nel fornire la sua traduzione della ‘prima nobile verità’ la libera resa del termine allevia la rigidità quasi geroglifica della formula tradizionale rilasciando un senso a cui tutti possiamo rapportarci con immediatezza.  

Dukkha non è una realtà fisica oggettiva come la malattia o la carestia. A volte possedere poco va bene o è perfino rasserenante; altre volte, ci angosciamo per una macchia sulla tovaglia. Entrare in contatto con quella sensazione è una via d’accesso alla spiritualità perché ci offre un indizio di dove e come le esperienze della vita ci toccano realmente. Possiamo credere di essere guidati da principi razionali, ma scegliamo di essere razionali solo quando un atteggiamento calmo e obbiettivo ci conviene. Le nostre motivazioni, i parametri in base a cui qualcosa ci piace, ci ispira o ci sembra utile (come pure il contrario) risiedono in un’altra dimensione della psiche. Entrare in contatto con tale dimensione è essenziale, se vogliamo vivere in modo meno confuso.

Mettendo l’accento su dukkha il Buddha mette in risalto un fatto che spesso non notiamo o di cui abbiamo un assaggio solo in relazione a situazioni particolari. Non sta dicendo che la vita è dolorosa: la maggior parte delle cose presenta una miscela di piacere, dolore e neutralità. Tuttavia, la qualità di fondo è una certa irrequieta ansietà (un sentimento di mancanza: “non è sufficiente”, “c’è qualcosa che non va”). Nella felicità, il retrogusto è il desiderio di averne di più, l’attaccamento o il tentativo di prolungare lo stimolo in quanto, di per sé, è destinata a cambiare. E quando la fonte della felicità svanisce, cominciamo a provare noia o insoddisfazione e a cercare qualcos’altro. Se non troviamo nulla, ci sentiamo peggio. […]

Un sentimento di mancanza permea le nostre vite. A volte proviamo la sensazione che ci manchi qualcosa, o un’insoddisfazione che può andare da un lieve senso di stanchezza all’estrema disperazione. Può essere innescata da sensazioni fisiche o da impressioni mentali riguardanti noi stessi o altri. E’ caratterizzata dal sentire che non c’è abbastanza. Se stiamo bene fisicamente e mentalmente possiamo sentirci delusi dal fatto che la vita non ci offre abbastanza, che non ne stiamo facendo buon uso o che non facciamo abbastanza. Oppure dalla mancanza di tempo, di spazio e di libertà. Possiamo provare ansia per le condizioni del pianeta e dell’ambiente: la nostra percezione del presente e del futuro non è rassicurante e libera da problemi. Anche avere ‘troppo’ significa non avere abbastanza spazio, futuro e tranquillità. La lista è interminabile. Provate a riflettere sulle vostre attività e i vostri progetti: notate che c’è uno sforzo costante di cambiare o fronteggiare situazioni sgradevoli o di promuovere il benessere. E’ una condizione universale.

Per molti di noi, la spinta a intraprendere un cammino spirituale nasce dal prendere atto di come questo sia lo stato d’animo prevalente in tutto quel che facciamo e dovunque andiamo, inclusa la pratica spirituale! L’ho constatato di persona: vivere in un luogo tranquillo come monaco contemplativo, senza dover pensare a nulla, non mi impediva di irritarmi perché una rana gracidava: “Ma che avranno da gracidare ‘ste rane, perché non stanno zitte e non smettono di disturbarmi!”. Non è una risposta intenzionale e deliberata, è una reazione istintiva. Crediamo di essere fatti così, e ogni possibilità di cambiamento, quand’anche desiderassimo cambiare, appare remota. Abitudini e istinti definiscono la nostra identità, ed è qui che dukkha ci rode dentro più profondamente.

Bhikkhu, c’è questa nobile verità sull’insoddisfazione. Nascere è problematico, invecchiare è duro e morire è difficile da accettare. Tristezza, rimpianto, dolore fisico, angoscia e disperazione sono egualmente dolorosi. Essere uniti a ciò che non piace è sgradevole; essere separati da ciò che piace è sgradevole; non ottenere ciò che si desidera è sgradevole. In breve, i cinque aggregati a cui ci si afferra sono insoddisfacenti.

‘Afferrare’ è un’efficace metafora di quello che altrove si definisce ‘attaccamento’. Significa trattare qualcosa come permanente o assoluto mentre in realtà non lo è. Quando sei attaccato alle sigarette, per esempio, le consideri assolutamente necessarie alla tua vita. Devi sempre averne un pacchetto a portata di mano. In realtà, però, le sigarette non sono necessarie. Quindi, in cosa consiste  l’attaccamento agli aggregati [o khandha: forma, sensazioni, significati, intenzioni, coscienza] che li rende insoddisfacenti?

La nostra sensazione di esistere come persone si basa interamente sull’afferrare i cinque aggregati come un nucleo personale, come il nostro sé. Malgrado l’introvabilità di questo ‘nucleo personale’, che in realtà è solo uno stato d’animo generato dall’attaccamento agli khandha, gli attribuiamo la paternità di pensieri e sentimenti, la proprietà e la responsabilità del corpo, la direzione e il controllo dei sensi. Una volta creata un’identità attorno agli khandha, ci aspettiamo che ci gratifichino. C’è il presupposto istintivo che troveremo appagamento nel nostro corpo o in quello di qualcun altro; o in sensazioni piacevoli, stimolanti o calmanti; o in opinioni e idee brillanti; o in una qualche combinazione di tutte queste cose così come si manifestano nella coscienza sensoriale. E malgrado le ripetute delusioni lo prendiamo per un difetto occasionale del sistema, un incidente di percorso, o pensiamo che sia colpa nostra. In occidente, colpa e vergogna sono più comuni dell’orgoglio come espressioni della credenza in un io. Se non ci sentiamo appagati dal mondo sensoriale pensiamo di avere qualcosa che non va, convinti come siamo che dovremmo esserlo.

Di conseguenza, è facile cadere in uno degli estremi: da un lato, l’ottimismo dell’ingenuità (“alla fine tutto si aggiusta”); dall’altro, il pessimismo della disperazione (“non ho avuto niente dalla vita; sono un fallito”). Ed eccoci alla deriva fra i due: dare la colpa agli altri e far valere le nostre ragioni, condannare la società e giustificare noi stessi; oppure giudicarci male e mettere gli altri sul piedistallo. Forse sentiamo che in un modo o nell’altro dovremmo tirarci fuori da questa situazione. Ma se la situazione siamo noi, come tirarcene fuori? Questo girare a vuoto, questo samsara, sta appunto nell’afferrarsi ai cinque aggregati come al proprio sé.

(1) The Dawn of the Dhamma: Illuminations from the Buddha’s First Discourse, by Sucitto Bhikkhu, Buddhadhamma Foundation, Bangkok 1995. Disponibile in formato elettronico su http://www.cittaviveka.org/files/books/dawn/index.htm

AGGIORNAMENTO:  Alla data di oggi (20/02/2020) l’edizione digitale non risulta più presente a quel link, né su altri siti. E’ però disponibile una nuova edizione illustrata, che rielabora il medesimo materiale, dal titolo Turning the wheel o f Dhamma, a questo link:

https://www.amaravati.org/dhamma-books/turning-the-wheel-of-dhamma/

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