Ho pensato di dedicare alcuni post al tema dell’amico e dell’amicizia nei Discorsi del buddhismo antico, un semplice collage di citazioni dai sutta che ne mettano in luce le diverse sfumature e valenze secondo un criterio progressivo: il buon amico in generale; l’amicizia edificante o la ‘ bella amicizia’ (kalyāṇamittatā) per chi aspira a coltivare l’ottuplice sentiero; il Buddha e i nobili come kalyāṇamitta; il rifugio in sé stessi come ‘isola’ quale condizione per offrire affidabile amicizia agli altri .
Il filo conduttore che lega i diversi insegnamenti del Buddha sull’amico è l’importanza di ‘associarsi ai saggi’ (vedi ad esempio Maṅgalasutta) di persona o in spirito, e saper distinguere un’associazione basata sulla comune ricerca del bene dalla semplice simpatia o affetto, dal piacere della compagnia, dalla comunanza di interessi, dall’utilità, eccetera.*
Per cominciare, il breve “Discorso sull’amico” dell’Aṅguttara Nikāya (il primo dei due consecutivi che hanno il medesimo titolo) Paṭhamamittasutta AN 7. 36**
Monaci, dovreste accompagnarvi a un amico dotato di sette qualità. Quali sette? Dà ciò che è difficile dare. Fa ciò che è difficile fare. Sopporta ciò che è difficile sopportare. Ti confida i suoi segreti. Custodisce i tuoi segreti. Non ti abbandona nelle avversità. Non ti svaluta nel dolore. Dovreste accompagnarvi a un amico che ha queste sette qualità.
La seconda citazione è tratta da “Consigli a Sigālaka” (Dīgha Nikāya 31). Questi è un giovane di casta brahmanica che il Buddha incontra casualmente e al quale impartisce alcuni insegnamenti e consigli pratici su come condurre una buona vita (un altro estratto in italiano si può leggere QUI). Due sezioni di questo lungo discorso sono dedicate, rispettivamente, ai “falsi amici” da cui il saggio deve guardarsi “come eviterebbe un sentiero pericoloso”, e ai “buoni amici” di cui bisogna prendersi cura “come una madre del figlioletto che allatta al seno”.
Questi quattro vanno riconosciuti come falsi amici: l’accaparratore, l’ipocrita, l’adulatore, lo spendaccione. L’accaparratore è un falso amico per quattro motivi: prende soltanto, dà poco ma chiede molto, rispetta gli impegni per paura, cerca un tornaconto. L’ipocrita è un falso amico per quattro motivi: dice che era disponibile, dice che sarà disponibile, ti fa tanti complimenti, se oggi ti serve qualcosa dice che naviga in brutte acque. L’adulatore è un falso amico per quattro motivi: asseconda i tuoi difetti, non ti incoraggia a migliorare, ti loda in tua presenza, ti critica alle tue spalle. Lo spendaccione è un falso amico per quattro motivi: ti accompagna a bere, a bighellonare fino a tarda notte, alla fiera, e al tavolo da gioco. […]
Questi quattro vanno riconosciuti come veri amici: l’amico benefattore, l’amico fedele, l’amico mentore, l’amico empatico. L’amico benefattore è un vero amico per quattro motivi: ti protegge quando sei vulnerabile, protegge i tuoi beni quando sei vulnerabile, ti rincuora quando hai paura, al bisogno ti dà il doppio di quel che serve. L’amico fedele è un vero amico per quattro motivi: ti confida i suoi segreti, custodisce i tuoi segreti, non ti abbandona nella sventura, dà la vita per te. L’amico mentore è un vero amico per quattro motivi: ti dissuade dal fare il male, ti incoraggia a fare il bene, ti parla di quel che ancora non sai, ti mostra la via dei cieli. L’amico empatico è un vero amico per quattro motivi: non gioisce della tua sfortuna, gioisce della tua fortuna, impedisce agli altri di sparlare di te, invita gli altri ad apprezzare le tue buone qualità.
Mi sembra di conforto e ispirazione riflettere con gratitudine sui doni inestimabili che ho ricevuto e ricevo dai buoni amici del passato e del presente, e sulle qualità che ho coltivato e posso coltivare per essere a mia volta una buona amica. Come sempre, sono benvenuti i vostri commenti, se qualcuno avesse piacere a condividere qui pensieri e sentimenti suscitati dalla lettura.
*Da questo punto di vista è possibile ravvisare una sintonia fra il pensiero del buddhismo antico e il pensiero di Aristotele (Etica Nicomachea, Libri viii e ix) sui tre tipi di amicizia: quella fondata sull’utile, quella fondata sul piacere e quella fondata sulle virtù.
**La mia traduzione omette i versi conclusivi, che ripetono sostanzialmente il contenuto esposto in prosa cfr https://suttacentral.net/an7.36/en/sujato Dallo stesso link è possibile accedere al testo originale e a traduzioni in altre lingue.
Carissima Letizia, ti ho pensata spesso in questo periodo difficile per tutti e mi fa piacere condividere con te il mio sentire al riguardo della situazione mondiale, e non nascondo che sarebbe per me prezioso se tu esprimessi il tuo. Innanzitutto spero che tu stia bene e al sicuro. Le scuole sono chiuse da quasi un mese e, non potendo andare fuori, ne ho approfittato per andare “dentro”, mentre cerco di sostenere con la didattica a distanza i miei alunni, soprattutto emotivamente e umanamente. Personalmente ho intensificato lo studio e la pratica del Dhamma sia con il sangha della tradizione di Thich Nath Hanh che attraverso il tuo blog, che trovo essere, come già ti avevo detto, come una mano che gentilmente mi prende e mi porta nella pratica e nella comprensione profonda. Da subito, da quando l’Italia si è fermata, ho avuto l’impressione che fosse suonata una “campana” generale. Tutti fermi. Quale migliore occasione per guardare la situazione in profondità? Sento che quanto sta accadendo non sia qualcosa contro cui scagliarsi, un nemico da sconfiggere o annientare, piuttosto che abbiamo grandi lezioni da imparare in questo momento storico. Tutto si manifesta da cause e condizioni, e il covid 19 non fa eccezione. Guardo la situazione con la visione sistemica dell’ interessere e dell’ interpenetrazione, e mi sembra evidente che ogni individualismo sia superato e che il nazionalismo sia, oltre che superato, molto pericoloso. Mi fa molto pensare il fatto che si sia manifestato e abbia colpito inizialmente i Paesi industrializzati, inquinati e dalle economie capitaliste e forti. In quel 20% di mondo che detiene l’80% delle ricchezze. Lo stare a casa è un impegno che ci viene richiesto come contributo alla collettività, e in cui possiamo riscoprire il valore della rinuncia. Credo che dobbiamo imparare a lasciare andare molte cose materiali e molte abitudini, e che possiamo riscoprire l’apprezzamento per cose che prima non vedevamo neanche, perché le davamo per scontate: per esempio la vicinanza fisica, gli abbracci, i baci, la convivialità. Il covid 19 colpisce nell’uomo i polmoni e l’apparato respiratorio, e mi sembra che questa sia anche la malattia di cui abbiamo fatto ammalare la nostra Casa Terra. Come può l’uomo sentirsi separato da lei? Quest’estate i polmoni del mondo sono bruciati in Australia e Amazzonia, e ora temiamo le infiammazioni dei nostri polmoni umani. Qualche mattina fa, ho avuto un’intuizione che sto assecondando nella pratica: Il Sutra della piena consapevolezza del respiro. Ho deciso che in questo “ritiro-Covid” sarà la mia pratica principale, e inspirando e espirando ho sentito che potevo innanzitutto apprezzare questo miracolo della vita, che oggi sappiamo più concretamente che non è scontato. Poi ho cominciato a offrire il respiro dedicandolo a chi al momento ha bisogno del respiratore, e questo mi ha permesso di allargare il campo e respirare per tutta La Terra e i suoi abitanti, con il cuore colmo di gratitudine per la vita e la speranza che l’emergenza e la sofferenza di adesso ci mostri tutte le nostre responsabilità umane, il veleno dell’avidità e la possibilità di raggiungere un livello più alto di coscienza collettiva. Sì, da respiro di Anapanasati sono arrivata in un attimo a”togliere tutte le tendine”, in un’esperienza molto profonda.
Il mio libro era appena stato stampato e avevo in programma per marzo molti eventi e un ritiro di formazione per insegnanti… ho dovuto mollare tutto, ogni programma e aspettativa, e questa è stata solo la prima lezione. Te ne avevo fatta inviare una copia, ma poi il mondo si è fermato, anche quello delle consegne, per cui non so se ti è arrivata.
Un grande abbraccio Grazia Roncaglia
Fino ad ora non avevo sentito così intensamente l’impermanenza. L’ho pensata ed ho creduto di averla intesa durante la pratica, quando la presenza mentale illumina l’esperienza favorendo l’attività del conoscere e capita grazie alla struttura rigorosamente logica in cui è presentata negli insegnamenti.
In questo momento, però, le condizioni rendono l’esperienza dell’impermanenza molto più radicale svelando la realtà e liberando il campo da aspettative ed illusioni. E’ qui che il sentimento di amicizia si esprime davvero, in questo campo in cui non c’è attesa di un tornaconto personale ma solo l’aspirazione al bene con la consapevolezza che non può esserci il mio bene senza il bene dell’altro.
Allora metta si esprime in un’attitudine amichevole diffusa e compassionevole. E’ importante ‘associarsi ai saggi’ ed è importante saper riconoscere il vero amico anche se trovo difficile pensare un vero amico che non abbia tutte le caratteristiche dei quattro e che le esprima, forse in grado diverso, in base alle diverse circostanze e condizioni. L’attitudine a cui accennavo, però, mi permette di considerare amici anche persone mai viste e conosciute solo perché impegnate nella ricerca del bene e suggerisce modalità salutari per notare le risorse del falso amico (ne avrà qualcuna?!), senza associarmi a lui ma lasciando andare giudizio, indifferenza e reattività verso gli aspetti poco luminosi (mi viene in mente il Dutiyaāghātapaṭivinayasutta AN 5.162 suggerito da Letizia nei materiali del ritiro di ottobre scorso) Il discorso offre le strategie per liberarsi del risentimento verso comportamenti non appropriati e chi li adotta ed accompagna ad un inclinazione al perdono –verso l’altro, ma anche verso sé stessi- che crea le condizioni per una ‘bella amicizia’.
Con gratitudine a tutte/i le/i kalyāṇamitta ed anche ai falsi amici
Grazie a tutti e tutte per i commenti e le preziose riflessioni. Sto preparando la ‘seconda puntata’ proprio sul tema ‘kalyanamitta’, da cui dovrebbe emergere la sfumatura specifica che riveste questa espressione nell’ambito degli insegnamenti del Buddha sull’amicizia e il vero amico in generale. Si tratta, in ogni caso, di un rapporto personale e specifico, che implica reciproca conoscenza, stima, mutuo impegno e continuità, e dove si mette l’accento sui benefici che derivano nella nostra vita dal coltivare certe relazioni e associazioni. Per riprendere un commento di Roberta: “è un legame d’affetto … più di altri sottoposto alla scelta. Non si può essere amici di tutti”.
Certamente, come suggerisce Marisa, le qualità della benevolenza e della compassione (una mente amichevole) possono e debbono (secondo gli insegnamenti del buddhismo antico) essere sviluppate indipendentemente dalla relazione che intratteniamo con qualcuno; e come motivazioni salutari all’agire formano parte dell’ottuplice sentiero. Nella meditazione, queste qualità prendono la forma dei brahmavihara https://letiziabaglioni.com/2018/09/11/la-tromba-di-conchiglia/
Ma si tratta di una coltivazione ‘a senso unico’, ‘impersonale’ e ‘senza tempo’, diciamo così, che non può sostituire o sovrapporsi all’ amicizia come intesa qui, e che mira alla purificazione dell’intenzione e alla retta concentrazione. Da un punto di vista psicologico ritengo molto importante la distinzione, perché lo scopo dell’addestramento non è provare gli stessi sentimenti per tutti, né immaginare di poter solo ‘dare’ senza ‘ricevere’.
“Dutiyaāghātapaṭivinayasutta AN 5.162 suggerito da Letizia nei materiali del ritiro di ottobre scorso) Il discorso offre le strategie per liberarsi del risentimento verso comportamenti non appropriati e chi li adotta ”
Per comodità, fornisco il link alla pagina del blog cui fa riferimento Marisa, dove trovate fra le altre cose il rinvio a una traduzione inglese dei due testi AN 5.162 e AN 5.161 disponibile sul sito SuttaCentral.
https://letiziabaglioni.com/2019/09/14/ritiro-autunnale-a-tossignano-bologna/
Cara Letizia, grazie di cuore per questi spunti di riflessione che si intrecciano con le osservazioni e riflessioni che stavo facendo sulla parola retta e non retta.
In questi giorni di isolamento mi sono trovata all’inizio travolta da una marea di telefonate e WhatsApp in entrata e in uscita. Sembra che non si possa fare a meno di colmare la lontananza fisica riempiendola di parole.
Tante parole che cercano di alleggerire, ma che in realtà svalutano l’esperienza e la sofferenza di ognuno di noi; che creano divisione, seminano malevolenza laddove c’è bisogno di compassione, solidarietà e fiducia.
Silenzio……….ho capito che mi serviva fare un passo indietro, scegliere quali parole fare entrare, scegliere i buoni amici da cui riceverle. Riconoscere e apprezzare chi sopporta ciò che è difficile sopportare e che dal luogo del proprio dolore, non svaluta il tuo. L’amico che accoglie la tua vulnerabilità e ti apre la sua. Che ti incoraggia ad andare oltre il noto nella scoperta di ciò che di bene è possibile per te e per l’altro.
Buon tutto
Carissima Letizia, mi unisco alle riflessioni su questo tuo post quanto mai opportuno in questi giorni… strani. Concordo con quanto è stato già commentato e ritengo anch’io un’occasione preziosa poter vagliare questo sentimento in un momento in cui tutti i “buoni” sentimenti sono messi in discussione, poiché le situazioni di emergenza fanno emergere con più chiarezza le reali disposizioni dell’animo. Chissà perché, ma non credevo che il Buddha ne avesse parlato … e invece è una gradita sorpresa. Ancora una volta i testi antichi ci riportano al tema della scelta, poiché forse, tra i vari legami d’affetto che attraversano le nostre vite, quello che nasce da un’amicizia è più di altri (familiari e di coppia) sottoposto alla scelta. Non si può essere amici di tutti; io l’ho creduto per tanto tempo, ma oggi mi accorgo che era un’illusione, una bella illusione, che nasceva, credo, dalla superficialità con cui credo di aver considerato questo nobile sentimento. Gli amici si scelgono, per “affinità elettive”, direi, mentre gli altri con cui si entra in relazione e per cui si può provare dell’affetto rimangono dei conoscenti. Mi chiedo se nei testi si parli anche di amicizia non tra persone, bensì tra gruppi, comunità; forse si può applicare lo stesso criterio di “selezione” per discernere, che so, i paesi che sono più o meno amici nei momenti di difficoltà.
Quest’ultima situazione, ad esempio, la stiamo vedendo in questi giorni …
Credo inoltre che il nobile sentimento dell’amicizia, diverso da quello di fratellanza, preveda innanzitutto una condivisione di valori, che passi cioè attraverso l’intelletto, prima che per il cuore. Se non c’è condivisione di valori, è difficile che si sviluppi, perché o sarebbe una falsa amicizia o finirebbe dopo poco tempo. Perdonate la lungaggine, ma trovo il tema molto stimolante …
“Mi chiedo se nei testi si parli anche di amicizia non tra persone, bensì tra gruppi, comunità; forse si può applicare lo stesso criterio di “selezione” per discernere, che so, i paesi che sono più o meno amici nei momenti di difficoltà”.
Ho pensato alla tua domanda, ma i pochi esempi nei Sutta che mi vengono in mente in cui si parla di relazione fra regni, clan o popoli sono improntati al realismo che ci aspetteremmo nel caso di una buona diplomazia. Vi sono invece consigli a gruppi (fra cui il Sangha, ovviamente) per favorire l’armonia al proprio interno e quindi anche rafforzarsi rispetto ad attacchi esterni.
Nel mondo odierno, in cui abbiamo convenuto (almeno in parte) su alcuni principi universali come i diritti umani, si potrebbe forse stabilire come criterio per una ‘buona associazione’ il rispetto di questi e altri valori e impegni etici comuni, come la difesa dell’ambiente.
Ma si tratta, ovviamente, di una mia estrapolazione.
Grazie Letizia, questi spunti ci permettono un analisi personale. Io abito in campagna, ma vicino all’ aeroporto, tutto era frenetico la natura età scomparsa ….
Se degli uccelli si avvicinavano nella zona subito iniziava una finta contraerea di botti per allontanarli.
Ora è tutto ovattato e la natura e o suoi veri abitanti si sono riappropriati degli spazi tutto attorno.
Ora tocca a noi intanto di riappropriarci, iniziamo con l’amicizia e quanto siamo veri amici noi…
Aspettiamo altri spunti …un saluto.
Alessandro
Concordo con Alessandra.
Personalmente, in questi giorni di isolamento forzato, trovo utile allargare la riflessione (o restringere, a seconda dei punti di vista) a me stesso: mi sto comportando da buon amico, da buon esempio e da buon consigliere per me stesso (e di conseguenza per chi mi sta intorno)?
Grazie Letizia per questi significativi parametri su cui confrontarci, che ci danno modo di riflettere sul valore dell’amicizia in generale.
Avere buoni amici; essere buoni amici. La parola chiave per me è “buono”. Coltivare relazioni che ci arricchiscono, sostengono e proteggono ma che ci permettono anche di dare, di esprimere il buono che c’è in noi in modo autentico, sentendoci accolti.
L’amicizia è una ricchezza, un dono prezioso da offrire e da ricevere.
Le sfaccettature dell’amicizia che ci proponi attraverso la traduzione dei Sutta nutrono la nostra riflessione, il cuore viene riscaldato al solo pensiero di questi valori.